INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA
PEDICA. - Al Ministro della giustizia. - Premesso che:
nel ormai lontano 1934 con il Regio decreto legge n. 1404 del 20 luglio fu istituito il Tribunale dei minori, così apportando una profonda trasformazione del sistema giudiziario ordinario ritenuto inadeguato a farsi carico del settore minorile;
fu concepito come tribunale speciale, composto da due giudici togati e due giudici onorari, esperti di varie discipline: si trattava, all’epoca, sicuramente di un’idea innovativa;
attualmente invece ci troviamo di fronte ad una società mutata in modo radicale e caratterizzata da una serie di complesse problematiche che richiedono una revisione normativa radicale della materia: sono ormai, infatti, moltissimi i bambini nati fuori dal matrimonio e contesi dai genitori, nonché i minori figli di genitori ormai separati e/o divorziati;
in base all’attuale normativa, mentre le vicende relative alle separazioni e ai divorzi dei coniugi e le connesse questione relative all’affidamento e al mantenimento della prole sono attribuite al Tribunale ordinario, le controversie relative ai figli nati fuori dal matrimonio sono affidate al Tribunale dei minori;
in proposito è a tutti noto come la procedura dinnanzi al Tribunale ordinario differisca da quella dinnanzi il Tribunale dei minorenni. La prima, infatti, dove le parti possono esprimersi e proporre perizie, si caratterizza per la presenza di un contradditorio idoneo alla miglior risoluzione della controversia,nella seconda, ex adverso, essendo prevista la presenza degli esperti, spesso non si fanno perizie e ci si limita ad acquisire i rapporti dei servizi sociali;
in particolare è evidente come sia erroneo e allarmante considerare come “oro colato” l’operato di assistenti ed educatori sociali, poiché si attribuisce a tali persone, molte volte giovani e quindi prive di esperienza e di adeguata professionalità, l’infallibilità;
è poi altrettanto noto come il procedimento minorile sia governato dal principio della camera di consiglio, composta da due giudici togati e da due giudici onorari, laureati in psicologia o in discipline affini con evidente violazione dei diritti della difesa e del contradditorio costituzionalmente garantiti;
oltre all’evidente incostituzionalità del procedimento minorile il fallimento del Tribunale dei minori è altresì confermato dalle molteplici protese e denunce messe in atto dalla collettività e dalle numerose associazioni a tutela della famiglia;
ad avviso dell’interrogante così come impostata l’attuale procedura della camera di consiglio seguita oggi dal tribunale minorile sembra ledere i diritti costituzionali della difesa e del contraddittorio, di cui rispettivamente agli articoli 24, secondo comma, e 111, secondo comma, della Costituzione;
considerato che:
in proposito risulta all'interrogante che in diverse regioni d'Italia siano stati e continuino ad essere denunciati, anche a mezzo stampa, possibili vizi di forma procedurali e/o metodologici alla base delle decisioni del Tribunale dei minori in provvedimenti di allontanamento di un bambino dalla propria famiglia, o da un genitore, per affidarlo ai servizi sociali;
oltre alla presunta “facilità” con cui alcuni Tribunali dei minori optano per la collocazione del minore presso le case famiglia è fortemente discussa anche la bontà del trattamento che i bambini ricevono all’interno di queste strutture;
in particolare sono stati segnalati all'interrogante diversi casi nei quali alcuni consulenti tecnici del Tribunale o dei periti di parte hanno prodotto perizie, aspramente criticate dai genitori interessati, che hanno poi determinato l’allontanamento del minore dalla famiglia;
secondo quanto riferito all’interrogante sono inoltre molti i casi in cui i bambini collocati presso le case famiglia mostrano gravi problemi di adattamento e malessere, nonchè denunciano maltrattamenti, soprusi e prepotenze anche da parte degli altri minori. Proprio a causa di questo malessere spesso i bambini durante l’incontro al’interno dell’istituto con il genitore manifestano continuamente il forte, e in alcuni casi disperato, desiderio di tornare a casa;
considerato che:
sono numerose le manifestazioni su questo grave problema che affligge il nostro Paese nelle quali viene denunciato come psicologi, psichiatri e assistenti sociali abbiano, di fatto, il potere di allontanare i bambini dalle famiglie e come nel sistema attuale, il giudice abbia la possibilità di togliere i bambini alla famiglia sulla base di una relazione o perizia dei servizi sociali, che spesso riporta dei punti di vista e/o non è supportata da prove oggettive e fattuali;
considerato che:
il diritto del bambino al rapporto parentale con la propria famiglia, in particolare con i genitori, i fratelli e i nonni, costituisce un diritto inviolabile dello stesso tutelato non solo dalla Carta Costituzionale, ma anche da numerose fonti europee e internazionali;
con legge 27 maggio 1991, n. 176, l'Italia ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, stipulata a New York dai Paesi aderenti all'ONU il 20 novembre 1989;
la predetta Convenzione, all'articolo 3, comma 1, recita: "in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente";
rilevato che:
si tratta di un fenomeno preoccupante che se nel passato rimaneva più facilmente nascosto, oggi, anche grazie alle tecnologie informatiche e all’evoluzione dei sistemi di comunicazione, emerge in modo crescente;
secondo quanto riferito all’interrogante a seguito dell’allontanamento dal proprio figlio in non pochi casi il genitore, dopo aver denunciato il malfunzionamento del Tribunale dei Minori e dei Servizi di assistenza sociale quale causa della sua disastrosa situazione familiare, si è addirittura spinto a commettere reati o comunque gesti folli in preda alla disperazione;
la tutela del minore e del suo rapporto con la famiglia, in primis con i genitori, deve essere considerata nell’ordinamento un’esigenza di primaria importanza e che la scelta di allontanare il bambino dal contesto familiare deve essere considerata come extrema ratio, alla quale ricorrere quando non vi sono più altre alternative percorribili. È quindi necessario che l’allontanamento del minore dalla propria famiglia avvenga solo sulla base di fatti gravi e accertati;
le numerose denunce sopradescritte sono quantomeno il sintomo di un erroneo funzionamento del sistema italiano in relazione alle procedure da adottare per addivenire alle pronunce di allontanamento del minore dalla famiglia o da uno dei genitori, nonché dell’inidoneità della case famiglia ad accogliere in modo efficace ed efficiente i minori e non possono, data la delicatezza e l’importanza degli interessi in gioco, essere sottovalutate;
ad avviso dell’interrogante la situazione appare alquanto critica e tale da far ritenere opportuno, da un lato, l’istituzione di un’apposita commissione d’inchiesta volta a verificare la veridicità della situazione narrata in premessa, dall’altro, laddove l’istituenda commissione riscontrasse le anomalie denunciate, una revisione legislativa della materia, in particolare optando per la soppressione dei tribunali dei minori - il cui fallimento sembra ormai inequivocabile - e la contemporanea istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e per i minori presso i Tribunali ordinari, così assicurando ai minori un procedimento più garantista e idoneo alla loro massima tutela;
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti esposti;
se il Ministro in indirizzo, data la rilevanza degli beni coinvolti e l’alto numero delle denunce e manifestazioni di protesta, non ritenga opportuno predisporre una commissione d’inchiesta al fine di verificare la bontà non solo del comportamento degli operatori tutti, ma anche del sistema in quanto tale;
se e quali misure, anche all’esito della predetta commissione d’inchiesta, il Ministro, nell’ambito delle proprie competenze, intenda adottare a tutela dei minori e del buon funzionamento del sistema, anche optando per una revisione urgente della normativa in questione che tenga conto, tra l’altro, della realtà ormai mutata, del fallimento dei Tribunali dei minori e dell’importanza della tutela dei minori.
martedì 27 marzo 2012
lunedì 26 marzo 2012
Fiaccolata per il piccolo Claudio
Sabato 31 Marzo ore 17.00 in via della lungara si terra' una commemorazione per il piccolo Claudio, il bimbo gettato dal Tevere lo scorso 4 febbraio. Al termine della celebrazione della messa ci sara' una fiaccolata fino a ponte Mazzini dove mamma Claudia deporrà nel fiume dei fiori.Aderisce all'iniziativa Valentina Pappacena, presidente dell'associazione Valore Donna, da sempre vicino alle donne vittime di violenze o tragedie. "Come associazione abbiamo affiancato la difesa della sorella di Claudia, Manuela che era presente al momento dell'accaduto -ha affermato Valentina Pappacena- era incinta di otto mesi e per lo choc ha partorito prima. Ad oggi per la famiglia di Claudia e Manuela e' difficile andare avanti anche perché alla sofferenza si aggiunge l'angoscia di non aver trovato il piccolo. L'avvocato dell'associazione e' Paolo Abenante del foro di Napoli. Il senatore Pedica si è rivelato l'unico esponente del mondo delle istituzioni ad essere vicino alla famiglia. Il parlamentare sarà presente .in tale occasione e darà il suo sostegno all'iniziativa volta a sensibilizzare l'opinione pubblica sul fenomeno dei maltrattamenti in famiglia. Quello del senatore Pedica è un segnale che va nella giusta direzione. Non altrettanto si può dire del Comune di Roma, rimasto insensibile dinanzi a questa tragedia per tutta la sua comunità".
Sit-in venerdi 23 marzo 2012 di mamma Federica Intervento Stefano Pedica a mattino 5
Puntata di venerdi 23 Marzo sit-in organizzato sotto il tribunale dei minorenni di Roma per sostenere mamma Federica
http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/292213/venerdi-23-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1
http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/292213/venerdi-23-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1
sabato 24 marzo 2012
Accoltellata ragazza di 17 anni
Ragazza accoltellata a Salerno, arrestato il fidanzato
Il ragazzo si sarebbe scagliato contro la 17enne con un'arma da taglio. Alla base dell'aggressione una forte gelosia: il giovane è ora detenuto nel carcere di Salerno.
Una ragazza di diciassette anni è stata accoltellata dal fidanzato a Salerno. I due giovani stavano insieme da oltre un anno, ma da qualche tempo il ragazzo era venuto a sapere che la sua fidanzata aveva attenzioni per un'altra persona. C.M, 19 anni, residente nel Salernitano, è stato arrestato dai Carabinieri della Stazione Mercatello: il ragazzo ha accoltellato la giovane studentessa e ora è accusato di tentato omicidio. La 17enne è stata sottoposta a un delicato intervento chirurgico affinché fosse bloccata l'emorragia interna provocata dalle coltellate ricevute. Le sue condizioni di salute restano ancora gravi, per questo i medici non possono sciogliere la prognosi.
La giovane è arrivata ieri mattina all'ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona”: dopo le segnalazioni del personale medico, i Carabinieri hanno avviato le indagini che hanno da subito coinvolto il fidanzato della 17enne, verso il quale sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza. Il movente dell'aggressione sarebbe stata, dunque, la gelosai che C.M provava nei confronti della fidanzata, la quale pare si fosse invaghita di un altro coetaneo. Ieri mattina il 19enne è giunto a casa della vittima, l'ha fatta salire a bordo della sua macchina ma, invece di accompagnarla a scuola, si è fermato poco dopo e ha accoltellato la giovane, colpendola all'addome. Accortosi della gravità dell'episodio, C.M ha accompagnato la giovane in ospedale, raccontando ai sanitari di una presunta aggressione da parte di soggetti sconosciuti.
L'arma dell'aggressione è stata ritrovata dai militari all'interno della vettura del giovane, intrisa di sangue. Il ragazzo ha cercato di fornire una propria versione dei fatti che non ha convinto i Carabinieri, poiché troppo incerta e piena di lacune. La Sezione Investigazioni Scientifiche del Comando Provinciale di Salerno, inoltre, ha eseguito una serie di rilievi tecnici anche sull'automobile dove è avvenuto l'accoltellamento. C.M è reo confesso e ora è detenuto nel carcere di Salerno.
Il ragazzo si sarebbe scagliato contro la 17enne con un'arma da taglio. Alla base dell'aggressione una forte gelosia: il giovane è ora detenuto nel carcere di Salerno.
Una ragazza di diciassette anni è stata accoltellata dal fidanzato a Salerno. I due giovani stavano insieme da oltre un anno, ma da qualche tempo il ragazzo era venuto a sapere che la sua fidanzata aveva attenzioni per un'altra persona. C.M, 19 anni, residente nel Salernitano, è stato arrestato dai Carabinieri della Stazione Mercatello: il ragazzo ha accoltellato la giovane studentessa e ora è accusato di tentato omicidio. La 17enne è stata sottoposta a un delicato intervento chirurgico affinché fosse bloccata l'emorragia interna provocata dalle coltellate ricevute. Le sue condizioni di salute restano ancora gravi, per questo i medici non possono sciogliere la prognosi.
La giovane è arrivata ieri mattina all'ospedale “San Giovanni di Dio e Ruggi d'Aragona”: dopo le segnalazioni del personale medico, i Carabinieri hanno avviato le indagini che hanno da subito coinvolto il fidanzato della 17enne, verso il quale sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza. Il movente dell'aggressione sarebbe stata, dunque, la gelosai che C.M provava nei confronti della fidanzata, la quale pare si fosse invaghita di un altro coetaneo. Ieri mattina il 19enne è giunto a casa della vittima, l'ha fatta salire a bordo della sua macchina ma, invece di accompagnarla a scuola, si è fermato poco dopo e ha accoltellato la giovane, colpendola all'addome. Accortosi della gravità dell'episodio, C.M ha accompagnato la giovane in ospedale, raccontando ai sanitari di una presunta aggressione da parte di soggetti sconosciuti.
L'arma dell'aggressione è stata ritrovata dai militari all'interno della vettura del giovane, intrisa di sangue. Il ragazzo ha cercato di fornire una propria versione dei fatti che non ha convinto i Carabinieri, poiché troppo incerta e piena di lacune. La Sezione Investigazioni Scientifiche del Comando Provinciale di Salerno, inoltre, ha eseguito una serie di rilievi tecnici anche sull'automobile dove è avvenuto l'accoltellamento. C.M è reo confesso e ora è detenuto nel carcere di Salerno.
venerdì 23 marzo 2012
Pedica contro la Belviso sulle case famiglia
SCONTRO BELVISO-PEDICA SU CASE FAMIGLIA DI ROMA BOTTA-RISPOSTA IN TV: ‘EPISODI VIOLENZE’, ‘COSE ASSURDE E FALSE’.
(DIRE – Notiziario Minori) Roma, 23 mar. – “Che si dica che nelle case famiglia di Roma ci siano situazioni punitive per i bambini e’ assurdo e totalmente falso. Rigetto totalmente queste accuse”. Cosi’, in occasione della sua partecipazione alla trasmissione ‘Mattino 5′, il vicesindaco di Roma, Sveva Belviso, ha risposto alle accuse del senatore dell’Idv, Stefano Pedica.
L’esponente del partito di Di Pietro, nella stessa trasmissione, poco prima aveva parlato di “episodi di violenza all’interno delle case famiglia” ricordando di aver “depositato tre esposti” e di voler “istituire una commissione d’inchiesta” per verificare la situazione all’interno di questi centri. “Quello che dice Pedica e’ estremamente grave- ha risposto il vicesindaco- Vorrei sapere come mai e perche’ Pedica sostiene di sapere qualcosa che avviene nelle case famiglia di Roma, visto che non credo sia mai entrato in una di esse.
Le case famiglia sono case di protezione, in cui si cerca di ricostruire la serenita’ dei bimbi, e dove lavorano un responsabile piu’ due educatori per 5 bambini, con un rapporto quasi di 1 a 1″.
(DIRE – Notiziario Minori) Roma, 23 mar. – “Che si dica che nelle case famiglia di Roma ci siano situazioni punitive per i bambini e’ assurdo e totalmente falso. Rigetto totalmente queste accuse”. Cosi’, in occasione della sua partecipazione alla trasmissione ‘Mattino 5′, il vicesindaco di Roma, Sveva Belviso, ha risposto alle accuse del senatore dell’Idv, Stefano Pedica.
L’esponente del partito di Di Pietro, nella stessa trasmissione, poco prima aveva parlato di “episodi di violenza all’interno delle case famiglia” ricordando di aver “depositato tre esposti” e di voler “istituire una commissione d’inchiesta” per verificare la situazione all’interno di questi centri. “Quello che dice Pedica e’ estremamente grave- ha risposto il vicesindaco- Vorrei sapere come mai e perche’ Pedica sostiene di sapere qualcosa che avviene nelle case famiglia di Roma, visto che non credo sia mai entrato in una di esse.
Le case famiglia sono case di protezione, in cui si cerca di ricostruire la serenita’ dei bimbi, e dove lavorano un responsabile piu’ due educatori per 5 bambini, con un rapporto quasi di 1 a 1″.
Amavo Melania.......
ASCOLI PICENO - Salvatore Parolisi parlò dei particolari del suo matrimonio con Melania Rea durante un'audizione nella caserma di Castello di Cisterna. «Tra me e Melania andava tutto bene, anzi quel periodo era davvero bello». All'epoca di questa testimonianza Parolisi non era ancora stato inserito tra gli indagati del delitto di Melania, morta il 18 aprile del 2011. Secondo quanto raccontò, c'erano alti e bassi tra i due coniugi, ma le cose stavano migliorando: «Se Melania aveva un problema con me, si vedeva da un miglio di distanza, invece in quel periodo stavamo bene». La seconda parte del documento parla della sua relazione extraconiugale con Ludovica: «Le volevo bene - ammette - aveva sofferto in passato, ma volevo lasciarla non ferendola». Parolisi confermò di non aver mai pensato di lasciare la moglie: «Le scadenze, gli ultimatum erano tutte scuse. Le dicevo che mi stavo separando per non farla preoccupare e buttavo avanti la storia».
TRIBUNALE MINORI, MAMME IN SIT-IN CON FEDERICA PUMA: RIDATEMI LA MIA
OMR0044 3 CRO TXT Omniroma-TRIBUNALE MINORI, MAMME IN SIT-IN CON FEDERICA PUMA: RIDATEMI LA MIA BAMBINA (OMNIROMA) Roma, 23 MAR - Un Sit-in di solidarietà davanti al Tribunale dei minori, in via dei Bresciani, per Federica Puma, mamma alla quale è stata tolta la figlia di 7 anni. «Il 14 dicembre mi è stata tolta la bambina per la conflittualità che sussisterebbe tra me e il papà - ha spiegato la mamma - ed è stata portata in una Casa Famiglia. Chiedo che mi venga restituita, torni a casa e sia fatto così un atto di giustizia. Sono una mamma che l'ha amata e la ama da 7 anni e non so cosa avrei potuto fare più di quello che ho fatto: andava in un'ottima scuola, stava imparando a suonare il violino e andava a danza, una bambina ben inserita socialmente». Diverse le mamme che hanno deciso di portare durante la mattina il proprio sostegno, gridando anche dalle macchine o dai motorini di passaggio per strada «Forza Federica». La mamma ha, inoltre, spiegato che può sentire la figlia solo tre volte alla settimana «e, se per sbaglio, la bambina - ha detto Federica Puma - chiude il telefono, non può richiamare». La mamma ha fatto ascoltare una registrazione di una telefonata con la figlia dove la figlia chiedeva, piangendo, di tornare a casa. «Siamo un Paese civile e dobbiamo credere nella giustizia. Chiedo ai magistrati di fare la cosa giusta: facciano un passo indietro, in particolare lo chiedo al giudice Cavallo che ha preso questa decisione». A parlare con Federica Puma, si è recata anche Lavinia Mennuni, delegata per le Pari opportunità di Roma Capitale: «Adesso dovremmo ascoltare bene le ragioni della signora, comprendere la situazione, ascoltando anche i legali, potremmo poi immaginare un incontro con il presidente del Tribunale dei Minori. È chiaro che ascoltare una telefonata di questo genere non può che far rabbrividire qualunque genitore. Sono questioni in cui è necessaria la massima attenzione, soprattutto credo però dalla parte giudicante».
OMR0044 3 CRO TXT Omniroma-TRIBUNALE MINORI, MAMME IN SIT-IN CON FEDERICA PUMA: RIDATEMI LA MIA BAMBINA (OMNIROMA) Roma, 23 MAR - Un Sit-in di solidarietà davanti al Tribunale dei minori, in via dei Bresciani, per Federica Puma, mamma alla quale è stata tolta la figlia di 7 anni. «Il 14 dicembre mi è stata tolta la bambina per la conflittualità che sussisterebbe tra me e il papà - ha spiegato la mamma - ed è stata portata in una Casa Famiglia. Chiedo che mi venga restituita, torni a casa e sia fatto così un atto di giustizia. Sono una mamma che l'ha amata e la ama da 7 anni e non so cosa avrei potuto fare più di quello che ho fatto: andava in un'ottima scuola, stava imparando a suonare il violino e andava a danza, una bambina ben inserita socialmente». Diverse le mamme che hanno deciso di portare durante la mattina il proprio sostegno, gridando anche dalle macchine o dai motorini di passaggio per strada «Forza Federica». La mamma ha, inoltre, spiegato che può sentire la figlia solo tre volte alla settimana «e, se per sbaglio, la bambina - ha detto Federica Puma - chiude il telefono, non può richiamare». La mamma ha fatto ascoltare una registrazione di una telefonata con la figlia dove la figlia chiedeva, piangendo, di tornare a casa. «Siamo un Paese civile e dobbiamo credere nella giustizia. Chiedo ai magistrati di fare la cosa giusta: facciano un passo indietro, in particolare lo chiedo al giudice Cavallo che ha preso questa decisione». A parlare con Federica Puma, si è recata anche Lavinia Mennuni, delegata per le Pari opportunità di Roma Capitale: «Adesso dovremmo ascoltare bene le ragioni della signora, comprendere la situazione, ascoltando anche i legali, potremmo poi immaginare un incontro con il presidente del Tribunale dei Minori. È chiaro che ascoltare una telefonata di questo genere non può che far rabbrividire qualunque genitore. Sono questioni in cui è necessaria la massima attenzione, soprattutto credo però dalla parte giudicante».
giovedì 22 marzo 2012
Figlio affidato alla mamma....il padre lo rapisce e fa perdere le sue tracce
Ascoli, 22 marzo 2012 - «HO CRESCIUTO YURI, non potrebbe fare mai del male al bambino». Le parole sono di Santina Mucci, zia di Yuri D’Angelo, il 29enne di Valle Castellana scomparso la settimana scorsa in compagnia del figlio di tre anni. Di Yuri e del piccolo ancora non si hanno notizie, da quando il giovane disse a sua madre «Vado a fare un giro ad Ascoli con il bambino». Il padre e la madre sono chiusi in casa e aprono solo ai parenti più stretti, con un lucchetto in bella mostra nel cancello della villetta. Non hanno voglia di parlare, né di condividere l’ansia di queste ore. Quindi ci pensa la zia a fare il quadro della situazione: «Non sappiamo dov’è, forse all’estero, ma chi lo sa? Il bambino sta bene, però, ne sono sicura. Yuri è sangue del mio sangue, un grandissimo lavoratore. Ma devono cercare la mamma, che deve dire dov’è stata in questi tre anni. Non si può presentare dopo tutto questo tempo e dire “rivoglio il bambino”. Il piccolo è nato in Italia, è cresciuto nella casa dei nonni ed è normale che Yuri ora protegge il figlio e io, da mamma, avrei fatto lo stesso. Il bambino non può andare in Grecia, non conosce nemmeno sua madre. Chiamava mamma sua nonna. Cosa farebbe in Grecia un bambino di tre anni che non sa una parola di greco? Sta benissimo qui, in compagnia della famiglia e avava iniziato anche ad andare all’asilo».
La signora Santina è schierata dalla parte di suo nipote e, come tutto il piccolo paese del teramano, contesta la decisione del Tribunale dei Minori che aveva affidato il bambino alla madre. Decisione che, molto probabilmente, ha spinto Yuri ad abbandonare tutto e tutti per poter vivere ancora accanto a suo figlio. Ma in queste ore frenetiche ancora non si sa dove siano i due. Le ipotesi sono diverse: si segue la pista estera, specialmente in Svizzera dove la famiglia D’Angelo ha parenti come ha confermato la zia, ma è anche possibile che Yuri sia ancora nelle vicinanze. Martedì, infatti, il suo telefono cellulare è stato intercettato la mattina ad Ascoli e all’ora di pranzo a Teramo. Non è escluso comunque che il telefonino sia in possesso di qualche amico di Yuri che sta aiutando il 29enne a depistare le indagini.
di Flavio Nardini
La signora Santina è schierata dalla parte di suo nipote e, come tutto il piccolo paese del teramano, contesta la decisione del Tribunale dei Minori che aveva affidato il bambino alla madre. Decisione che, molto probabilmente, ha spinto Yuri ad abbandonare tutto e tutti per poter vivere ancora accanto a suo figlio. Ma in queste ore frenetiche ancora non si sa dove siano i due. Le ipotesi sono diverse: si segue la pista estera, specialmente in Svizzera dove la famiglia D’Angelo ha parenti come ha confermato la zia, ma è anche possibile che Yuri sia ancora nelle vicinanze. Martedì, infatti, il suo telefono cellulare è stato intercettato la mattina ad Ascoli e all’ora di pranzo a Teramo. Non è escluso comunque che il telefonino sia in possesso di qualche amico di Yuri che sta aiutando il 29enne a depistare le indagini.
di Flavio Nardini
mercoledì 21 marzo 2012
Sul corpetto di Simonetta Cesaroni il DNA di 3 uomini
ROMA - Le tracce biologiche individuate sul corpetto di Simonetta Cesaroni, uccisa a Roma il 7 agosto del 1990, identificano ''con certezza la presenza di almeno tre soggetti maschili''. E' quanto affermano i periti nominati dalla corte d'assise d'Appello per chiarire le cause della morte della giovane.
Gli esperti hanno esaminato 12 campioni di tracce biologiche prelevate tra il corpetto e il reggiseno di Simonetta. Quanto ai due campioni prelevati sul reggiseno sono entrambi attribuibili a Raniero Busco. La presenza di tre soggetti di sesso maschile è stata individuata nel ''settimo campione prelevato dalla parte sinistra del corpetto''.
Comparando tale traccia con il profilo genetico dell'imputato gli esperti rilevano come ''la mancanza di alcune caratteristiche proprie del profilo genetico di Busco potrebbe essere ricondotta ad artefatti di amplificazione o alla loro reale assenza dal profilo. La valutazione del collegio peritale - è scritto - propende a favore della prima ipotesi, pur in assenza di analisi in replicato in grado di dirimere tale questione''.
In merito agli altri campioni sul corpetto o si tratta di tracce biologiche commiste o non attribuibili all' imputato o attribuite a Busco anche se per alcune i consulenti ipotizzando che la traccia possa essere frutto di una contaminazione tra reperti. In merito alle traccia ematica individuate sul lato interno alla porta della stanza dove fu trovata priva di vita, Simonetta Cesaroni, ''e' attribuibile ad un soggetto maschile di gruppo sanguigno A e di genotipo 1.1/4 al locus Dqalfa e quindi certamente non all'imputato Raniero Busco''.
Quanto alla traccia di sangue trovata sul lato opposto della stessa porta e' attribuibile ''con certezza alla vittima. Frammisti, vi sono quantitativi minimi di Dna in relazione ai quali non è possibile eseguire qualsivoglia comparazione''. Anche il sangue trovato sul telefono della stanza teatro del delitto è dello stesso gruppo sanguigno e quindi ''non puo' essere attribuito ne alla vittima ne all'imputato''. Sullo specchio dell'ascensore dello stabile di via Poma furono trovate due tracce ematiche: una, secondo i periti, è di Simonetta, l'altra è ''attribuibile ad un soggetto di sesso maschile allo stato ignoto''.
Non è riconducibile ad un morso la ferita individuata sul capezzolo sinistro. Il morso era stato uno degli aspetti chiave per la condanna in primo grado dell'ex fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, a 24 anni di reclusione con l'accusa di omicidio volontario.
''Le due minime lesioni escoriative seriate poste al quadrante supero-mediale della base d'impianto del capezzolo sinistro - scrivono nella perizia di oltre 260 pagine -, non sono in grado di configurare alcun morso, oltretutto mancando l'evidente traccia di opponente, per cui restano di natura incerta'', per i periti ''potrebbe essere di tutto''.
Secondo la perizia, le lesioni potrebbero essere attribuite ''ad una unghiatura parziale per strizzamento tra due dita del capezzolo ove sul posto il contatto avvenne propriamente con il margine ungueale e dall'altra parte ebbe ad agire solo il polpastrello; oppure all'azione di un altro mezzo escoriativi, teoricamente spicole ed apici dentari compresi (indentazione), ove la superficie di contatto e strusciamento fu limitatissima e magari appuntita''.
A parere dei consulenti quella del morso è una ''ipotesi'' formulata dai periti tecnici della Procura di Roma. ''Su tale semplice ipotesi in seguito - si legge nella perizia di oltre 200 pagine - sono state sviluppate una serie di consulenze tecniche odontoiatriche forensi indubbiamente affascinanti e suggestive per la sofisticazione delle ricostruzioni proposte che si spingono ad indicare per l'accusa, una compatibilita' con la particolare dentatura dell'imputato Busco, mentre per la difesa ciò non sarebbe possibile pur non negando affatto la verosimiglianza del morso con modalita' particolari, senza poterlo tuttavia riferire all'imputato''.
Gli esperti si pronunciano, poi, sulla posizione e sulla dinamica con cui il presunto morso sarebbe stato lasciato sul seno di Simonetta: una ricostruzione che appare ''inverosimile'' e ''impossibile ad un essere umano''. Nella perizia viene messo in luce che ''le due piccole escoriazioni sono state studiate partendo da una vecchia fotografia, neppure esattamente prospettica ed anche se sono stati utilizzati metodi di correzione informatici, cio' non offre certezze''.
Gli esperti hanno esaminato 12 campioni di tracce biologiche prelevate tra il corpetto e il reggiseno di Simonetta. Quanto ai due campioni prelevati sul reggiseno sono entrambi attribuibili a Raniero Busco. La presenza di tre soggetti di sesso maschile è stata individuata nel ''settimo campione prelevato dalla parte sinistra del corpetto''.
Comparando tale traccia con il profilo genetico dell'imputato gli esperti rilevano come ''la mancanza di alcune caratteristiche proprie del profilo genetico di Busco potrebbe essere ricondotta ad artefatti di amplificazione o alla loro reale assenza dal profilo. La valutazione del collegio peritale - è scritto - propende a favore della prima ipotesi, pur in assenza di analisi in replicato in grado di dirimere tale questione''.
In merito agli altri campioni sul corpetto o si tratta di tracce biologiche commiste o non attribuibili all' imputato o attribuite a Busco anche se per alcune i consulenti ipotizzando che la traccia possa essere frutto di una contaminazione tra reperti. In merito alle traccia ematica individuate sul lato interno alla porta della stanza dove fu trovata priva di vita, Simonetta Cesaroni, ''e' attribuibile ad un soggetto maschile di gruppo sanguigno A e di genotipo 1.1/4 al locus Dqalfa e quindi certamente non all'imputato Raniero Busco''.
Quanto alla traccia di sangue trovata sul lato opposto della stessa porta e' attribuibile ''con certezza alla vittima. Frammisti, vi sono quantitativi minimi di Dna in relazione ai quali non è possibile eseguire qualsivoglia comparazione''. Anche il sangue trovato sul telefono della stanza teatro del delitto è dello stesso gruppo sanguigno e quindi ''non puo' essere attribuito ne alla vittima ne all'imputato''. Sullo specchio dell'ascensore dello stabile di via Poma furono trovate due tracce ematiche: una, secondo i periti, è di Simonetta, l'altra è ''attribuibile ad un soggetto di sesso maschile allo stato ignoto''.
Non è riconducibile ad un morso la ferita individuata sul capezzolo sinistro. Il morso era stato uno degli aspetti chiave per la condanna in primo grado dell'ex fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, a 24 anni di reclusione con l'accusa di omicidio volontario.
''Le due minime lesioni escoriative seriate poste al quadrante supero-mediale della base d'impianto del capezzolo sinistro - scrivono nella perizia di oltre 260 pagine -, non sono in grado di configurare alcun morso, oltretutto mancando l'evidente traccia di opponente, per cui restano di natura incerta'', per i periti ''potrebbe essere di tutto''.
Secondo la perizia, le lesioni potrebbero essere attribuite ''ad una unghiatura parziale per strizzamento tra due dita del capezzolo ove sul posto il contatto avvenne propriamente con il margine ungueale e dall'altra parte ebbe ad agire solo il polpastrello; oppure all'azione di un altro mezzo escoriativi, teoricamente spicole ed apici dentari compresi (indentazione), ove la superficie di contatto e strusciamento fu limitatissima e magari appuntita''.
A parere dei consulenti quella del morso è una ''ipotesi'' formulata dai periti tecnici della Procura di Roma. ''Su tale semplice ipotesi in seguito - si legge nella perizia di oltre 200 pagine - sono state sviluppate una serie di consulenze tecniche odontoiatriche forensi indubbiamente affascinanti e suggestive per la sofisticazione delle ricostruzioni proposte che si spingono ad indicare per l'accusa, una compatibilita' con la particolare dentatura dell'imputato Busco, mentre per la difesa ciò non sarebbe possibile pur non negando affatto la verosimiglianza del morso con modalita' particolari, senza poterlo tuttavia riferire all'imputato''.
Gli esperti si pronunciano, poi, sulla posizione e sulla dinamica con cui il presunto morso sarebbe stato lasciato sul seno di Simonetta: una ricostruzione che appare ''inverosimile'' e ''impossibile ad un essere umano''. Nella perizia viene messo in luce che ''le due piccole escoriazioni sono state studiate partendo da una vecchia fotografia, neppure esattamente prospettica ed anche se sono stati utilizzati metodi di correzione informatici, cio' non offre certezze''.
lunedì 19 marzo 2012
domenica 18 marzo 2012
Risposta al tribunale dei minorenni
All’egregio direttore dell’Ansa e a tutte le testate che hanno ripreso
il dispaccio del 17 marzo 2012.
Le scriviamo per rendere pubblico il
nostro profondo stupore e la nostra immensa indignazione per la
replica proveniente dal Tribunale per i Minorenni di Roma con
riferimento al collocamento in casa famiglia della bambina di 7 anni.
Stupiti, perché un Tribunale nell’esercizio delle Sue funzioni si
premura di rispondere all’opinione pubblica e ai politici dei vari
schieramenti per riaffermare il suo ruolo, le finalità che persegue,
per rendere edotti tutti sul procedimento di impugnazione e sulla
natura dei propri provvedimenti e per esplicitare che continuerà a
tutelare i bambini senza subire intimidazioni.
Ma quali intimidazioni?
Nonostante l’intervento dell’opinione pubblica, dei giornali, delle
associazioni e dei politici per un mese non abbiamo potuto per vari
motivi visionare il fascicolo, abbiamo depositato decine di istanze
rappresentando e documentando l’assoluta prostrazione e disperazione
di
questa bambina, chiedendo delucidazioni, chiedendo una sospensione
del
provvedimento e nei pochi casi nei quali le nostre istanze hanno
avuto
una risposta, la stessa è stata un “già deciso”, “ si rinvia al
provvedimento del 14/12/11” o “sarà deciso all’udienza del …”.
Il
Tribunale ha ascoltato il tutore provvisorio e il curatore speciale
senza contradditorio e non perché ha ritenuto di convocarli per
approfondire la situazione ma esclusivamente perché questi ne hanno
fatto espressa richiesta e per motivi che a questa difesa non è dato
sapere.
All’istanza dei nonni della piccola che dal dicembre 2011
chiedono di poter incontrare la propria nipotina, il Tribunale non ha
né risposto né replicato!
Alla mamma che ha rappresentato che nel
decreto è stabilito che deve vedere la bimba due volte a settimana,
mentre il tutore, il curatore e i servizi sociali le consentono, in
spregio al provvedimento dell’autorità giudiziaria, di vederla solo
una
volta a settimana, il Tribunale non ha mai risposto!
Tutto questo
quando il procedimento è sulla bocca di tutti …. Che cosa sarebbe
accaduto se fosse stato l’ennesimo anonimo numero di faldone ...
lasciato li ad accumular polvere?
E allora ci sia consentito dire che
siamo stupiti che in questa vicenda si risponda ai politici e ai
giornalisti e non si risponda alla difesa di questa bambina e della
sua
mamma!
Che si parli di contraddittorio dell’altro genitore ….
quando
ognuno è liberissimo di far sentire la sua voce e di replicare
in
merito; o che si dica che chi parla ignora le motivazioni del
Tribunale!
Chi si è posto a sostegno della bambina (associazioni,
politici, giornalisti, gente comune, medici e avvocati) lo ha fatto
dopo aver letto le motivazioni dei provvedimenti e ascoltato le prove
della disperazioni di una bambina che non ha voce e non ha diritti!
Nessuno ignora niente …. ma tutti insieme non possiamo condividere e
accettare simili motivazioni che puniscono la bambina per sanzionare i
genitori!Il fine non giustifica il mezzo se si parla di bambini!
E chi
sostiene la piccola lo ha fatto ascoltando e leggendo tutto ciò che la
difesa ha di volta in volta sottoposto prima di tutto all’attenzione
del suo Tribunale (cd contenente telefonate, parere pro veritate. ecc.
ecc,).
Oggi il Tribunale replica a chi fa appello a fare un passo
indietro, a chi contesta ” politicamente” la sua decisione, a tutti
coloro (e sono tantissimi) che con ogni mezzo chiedono ”liberate la
bambina” (con tanto di nome e cognome su Radio Ies Roma), a chi non
può più stare in silenzio dopo aver sentito quella bambina chiedere
disperatamente aiuto!
Ma quella telefonata (insieme a molte altre)
prima di essere resa pubblica è stata depositata al giudice minorile,
il quale forse non avuto tempo di ascoltarla o al quale forse non ha
fatto lo stesso effetto devastante che, invece, ha determinato la
mobilitazione di migliaia di italiani.
E allora abbiamo tutto il
diritto di essere prima stupiti e poi terribilmente INDIGNATI!!
Perché
il nostro giudice spesso non ci risponde, non convoca le
parti con
urgenza per comprendere la reale situazione; non si reca in
casa
famiglia a constatare personalmente le reali condizioni della
bambina;
non nomina un consulente per accertarne le condizioni psico-
fisiche……
MA IL NOSTRO GIUDICE REPLICA SUL GIORNALE!!!
In difesa
della piccola
bambina di 7 anni.
il dispaccio del 17 marzo 2012.
Le scriviamo per rendere pubblico il
nostro profondo stupore e la nostra immensa indignazione per la
replica proveniente dal Tribunale per i Minorenni di Roma con
riferimento al collocamento in casa famiglia della bambina di 7 anni.
Stupiti, perché un Tribunale nell’esercizio delle Sue funzioni si
premura di rispondere all’opinione pubblica e ai politici dei vari
schieramenti per riaffermare il suo ruolo, le finalità che persegue,
per rendere edotti tutti sul procedimento di impugnazione e sulla
natura dei propri provvedimenti e per esplicitare che continuerà a
tutelare i bambini senza subire intimidazioni.
Ma quali intimidazioni?
Nonostante l’intervento dell’opinione pubblica, dei giornali, delle
associazioni e dei politici per un mese non abbiamo potuto per vari
motivi visionare il fascicolo, abbiamo depositato decine di istanze
rappresentando e documentando l’assoluta prostrazione e disperazione
di
questa bambina, chiedendo delucidazioni, chiedendo una sospensione
del
provvedimento e nei pochi casi nei quali le nostre istanze hanno
avuto
una risposta, la stessa è stata un “già deciso”, “ si rinvia al
provvedimento del 14/12/11” o “sarà deciso all’udienza del …”.
Il
Tribunale ha ascoltato il tutore provvisorio e il curatore speciale
senza contradditorio e non perché ha ritenuto di convocarli per
approfondire la situazione ma esclusivamente perché questi ne hanno
fatto espressa richiesta e per motivi che a questa difesa non è dato
sapere.
All’istanza dei nonni della piccola che dal dicembre 2011
chiedono di poter incontrare la propria nipotina, il Tribunale non ha
né risposto né replicato!
Alla mamma che ha rappresentato che nel
decreto è stabilito che deve vedere la bimba due volte a settimana,
mentre il tutore, il curatore e i servizi sociali le consentono, in
spregio al provvedimento dell’autorità giudiziaria, di vederla solo
una
volta a settimana, il Tribunale non ha mai risposto!
Tutto questo
quando il procedimento è sulla bocca di tutti …. Che cosa sarebbe
accaduto se fosse stato l’ennesimo anonimo numero di faldone ...
lasciato li ad accumular polvere?
E allora ci sia consentito dire che
siamo stupiti che in questa vicenda si risponda ai politici e ai
giornalisti e non si risponda alla difesa di questa bambina e della
sua
mamma!
Che si parli di contraddittorio dell’altro genitore ….
quando
ognuno è liberissimo di far sentire la sua voce e di replicare
in
merito; o che si dica che chi parla ignora le motivazioni del
Tribunale!
Chi si è posto a sostegno della bambina (associazioni,
politici, giornalisti, gente comune, medici e avvocati) lo ha fatto
dopo aver letto le motivazioni dei provvedimenti e ascoltato le prove
della disperazioni di una bambina che non ha voce e non ha diritti!
Nessuno ignora niente …. ma tutti insieme non possiamo condividere e
accettare simili motivazioni che puniscono la bambina per sanzionare i
genitori!Il fine non giustifica il mezzo se si parla di bambini!
E chi
sostiene la piccola lo ha fatto ascoltando e leggendo tutto ciò che la
difesa ha di volta in volta sottoposto prima di tutto all’attenzione
del suo Tribunale (cd contenente telefonate, parere pro veritate. ecc.
ecc,).
Oggi il Tribunale replica a chi fa appello a fare un passo
indietro, a chi contesta ” politicamente” la sua decisione, a tutti
coloro (e sono tantissimi) che con ogni mezzo chiedono ”liberate la
bambina” (con tanto di nome e cognome su Radio Ies Roma), a chi non
può più stare in silenzio dopo aver sentito quella bambina chiedere
disperatamente aiuto!
Ma quella telefonata (insieme a molte altre)
prima di essere resa pubblica è stata depositata al giudice minorile,
il quale forse non avuto tempo di ascoltarla o al quale forse non ha
fatto lo stesso effetto devastante che, invece, ha determinato la
mobilitazione di migliaia di italiani.
E allora abbiamo tutto il
diritto di essere prima stupiti e poi terribilmente INDIGNATI!!
Perché
il nostro giudice spesso non ci risponde, non convoca le
parti con
urgenza per comprendere la reale situazione; non si reca in
casa
famiglia a constatare personalmente le reali condizioni della
bambina;
non nomina un consulente per accertarne le condizioni psico-
fisiche……
MA IL NOSTRO GIUDICE REPLICA SUL GIORNALE!!!
In difesa
della piccola
bambina di 7 anni.
venerdì 16 marzo 2012
8 Anni stuprata e uccisa a martellate
WOODSTOCK - La bimba, otto anni appena, è stata rapita, violentata, torturata e percossa con un martello fino alla morte. Poi il suo corpo martoriato, nudo dalla vita in giù, è stato seppellito. Il tutto seguendo un piano diabolico e già premeditato, dato che la coppia accusata della barbarie si è procurata sacchi di plastica nera e il martello prima di rapire dalla sua scuola a Woodsotck, Ontario, la loro futura vittima, la piccola Victoria Stafford. Terry Lyne McClintic, 18 anni, e il suo ragazzo Michael Rafferty, di 31 anni, stanno affrontando il processo che li vede imputati per l'orrendo delitto. Il ragazzo ha negato la sua responsabilità. La 18enne, invece, ha ammesso tutto. E dal suo racconto sono emersi dettagli inquietanti: di come la cosa è stata progettata, dell'implorazione della bimba, che ha pregato la 18enne di non lasciare che il ragazzo continuasse l'abuso, dei colpi battuti con violenza sul corpo della piccola.
La coppia, sotto l'effetto di droga, racconta la stessa 18enne co-imputata, ha comprato l'occorrente per la tortura in un negozio, dopo ha aspettato all'uscita della scuola che la vittima uscisse e l'ha convinta a salire in macchina con la scusa di farle vedre un cagnolino. "Sapevo quello che sarebbe successo e mi sono allontanata - ha raccontato davanti alla corte Terry -. Poi ho sentito urlare e piangere. Dopo un po' la bimba mi ha chiamato, voleva andare in bagno. Era sanguinante e quando la ho accompagnata mi ha implorato: 'Non lasciare che mi faccia ancora questo'. Io le ho promesso che non avrei permesso, ma poi non ce l'ho fatta".
La donna racconta di come la violenza del suo ragazzo si sia abbattuta sulla giovane vittima. "Mi ha chiesto di stare con lei. Ho cercato di trattenere la mano, ma non potevo stare, perché sapevo cosa stava per accadere. Non potevo stare lì. Mi sono allontanata". Poi il racconto straziante del sacco di plastica a coprire la testa della bimba, mentre veniva percossa a morte con il martello e infine sepolta. Dettagli di una barbarie, compita l'8 aprile del 2009, sulla quale deve ancora essere fatta giustizia.
La coppia, sotto l'effetto di droga, racconta la stessa 18enne co-imputata, ha comprato l'occorrente per la tortura in un negozio, dopo ha aspettato all'uscita della scuola che la vittima uscisse e l'ha convinta a salire in macchina con la scusa di farle vedre un cagnolino. "Sapevo quello che sarebbe successo e mi sono allontanata - ha raccontato davanti alla corte Terry -. Poi ho sentito urlare e piangere. Dopo un po' la bimba mi ha chiamato, voleva andare in bagno. Era sanguinante e quando la ho accompagnata mi ha implorato: 'Non lasciare che mi faccia ancora questo'. Io le ho promesso che non avrei permesso, ma poi non ce l'ho fatta".
La donna racconta di come la violenza del suo ragazzo si sia abbattuta sulla giovane vittima. "Mi ha chiesto di stare con lei. Ho cercato di trattenere la mano, ma non potevo stare, perché sapevo cosa stava per accadere. Non potevo stare lì. Mi sono allontanata". Poi il racconto straziante del sacco di plastica a coprire la testa della bimba, mentre veniva percossa a morte con il martello e infine sepolta. Dettagli di una barbarie, compita l'8 aprile del 2009, sulla quale deve ancora essere fatta giustizia.
Intervento del senatore Stefano Pedica a mattino5 sul caso di Federica Puma
Video mattino5 la storia di Federica, e l'intervento del senatore Stefano Pedica
http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/290515/giovedi-15-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1
http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/290515/giovedi-15-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1
Uccise fidanzata.... Si impicca
Da pochi mesi un ex vigilante era tornato in paese dopo aver scontato parte della pena a 14 anni che gli erano stati inflitti per l'omicidio di Roberta Neri, che aveva confessato in Aula.
La condanna più pesante, quella che nessun giudice avrebbe potuto determinare, se l'è inflitta da solo. Forse Salvatore Saba non ha retto il peso della colpa: quella di aver ucciso, 15 anni fa, la fidanzata Roberta Neri. E a tutto quello che ne è conseguito. Due notti fa si è impiccato a un albero nella pineta di Su Barone, a Orosei. Nella sua abitazione, un biglietto di richiesta di perdono indirizzato all'anziana madre.
Venerdì 16 marzo 2012 08.41
Per non dimenticare il delitto
----------------------------------------------------------------- Nell'omicidio di Orosei inquietanti analogie con il caso della coppia massacrata. Ma gli inquirenti: solo un caso Uccisa in casa, giallo - bis in Sardegna La vittima e' una donna ligure e anche lei si occupava di video - giochi Raggiunta da 3 colpi alla testa mentre si stava lavando i denti Interrogato a lungo il fidanzato della giovane, una guardia giurata DAL NOSTRO INVIATO OROSEI - Una scarica di proiettili in faccia, almeno tre colpi, l'assassino le ha quasi appoggiato la pistola, lei era in bagno, lo spazzolino fra i denti. Roberta Neri, 29 anni, di Noli (Savona), e' stata uccisa almeno 7 giorni fa, ha il volto sfigurato, il corpo in decomposizione. Da tre anni in Sardegna, costa orientale, noleggiava videogames nei bar e nelle sale giochi. Non e' la sola analogia con il "giallo" di Genova, probabilmente anche lei conosceva chi ha sparato, l'ha fatto entrare in casa, l'assassino e' andato via chiudendosi dietro la porta a chiave. Ma nient'altro che faccia pensare a un unico filo con l'uccisione degli sposi al ritorno dal viaggio di nozze, qui il racket dei videogiochi e delle scommesse clandestine non esiste. I carabinieri seguono altre piste, il delitto passionale, un corteggiatore respinto, gelosia e lite. Nessun segno di violenza, vestiti senza strappi, nell'appartamento tutto in ordine, non e' stata una rapina: nessuno ha messo a soqquadro i cassetti, non sono stati portati via soldi. In caserma per accertamenti una decina di persone e fino a tarda sera anche Salvatore Saba, 40 anni, di Orosei. Da due anni ha una relazione con la Neri, che l'ha associato nella gestione dei videogames. Se non e' indagato (si ipotizzava una ricognizione per accertare se nelle mani e negli abiti avesse tracce di polvere da sparo), certo e' chiamato a dare spiegazioni su particolari importanti: cosa sa delle chiavi di casa, come mai non ha segnalato la prolungata assenza della donna, perche' ha continuato a ritirare gli incassi. "Saba non e' in stato di fermo - hanno detto gli inquirenti - stiamo controllando il suo racconto". E' stato Antonio Neri, padre di Roberta, a insospettirsi: "Da qualche giorno non riuscivo a rintracciare al telefono mia figlia, lei quasi ogni giorno ci faceva sapere notizie". Era ordinata e metodica negli appuntamenti sul lavoro: attendeva di ricevere nuovi giochi, davvero strano che non si fosse messa in contatto con i fornitori. Il papa' e' piombato ieri mattina in Sardegna, ha visto che la porta dell'appartamento di Roberta, al primo piano in una villetta bifamiliare alla periferia di Orosei, era sprangata e ha dato l'allarme. Dopo mezzogiorno i carabinieri hanno sfondato una finestra e hanno trovato il cadavere, riverso nel bagno accanto al lavabo. Roberta Neri: una bella ragazza, non alta, riccioli castani, poche amicizie. Era presa dal lavoro, faceva i suoi giri settimanali nei bar per controllare le macchine e riscuotere le percentuali. Rapporti buoni con tutti. Anche con Salvatore Saba nessuno screzio; lui e' sposato ma da tempo separato, ha un'altra abitazione a Orosei, frequentava abitualmente la villetta bifamiliare. Non nascondevano la loro relazione. Nessuno ha visto persone sospette intorno alla villetta, nessuno ha sentito gli spari. Indagini difficili per il sostituto procuratore Giorgio Latti e per i carabinieri di Nuoro. Oggi l'autopsia e il controlo dei tabulati del telefono cellulare, che dara' i nomi delle ultime persone con le quali Roberta ha parlato prima di essere assassinata.
La condanna più pesante, quella che nessun giudice avrebbe potuto determinare, se l'è inflitta da solo. Forse Salvatore Saba non ha retto il peso della colpa: quella di aver ucciso, 15 anni fa, la fidanzata Roberta Neri. E a tutto quello che ne è conseguito. Due notti fa si è impiccato a un albero nella pineta di Su Barone, a Orosei. Nella sua abitazione, un biglietto di richiesta di perdono indirizzato all'anziana madre.
Venerdì 16 marzo 2012 08.41
Per non dimenticare il delitto
----------------------------------------------------------------- Nell'omicidio di Orosei inquietanti analogie con il caso della coppia massacrata. Ma gli inquirenti: solo un caso Uccisa in casa, giallo - bis in Sardegna La vittima e' una donna ligure e anche lei si occupava di video - giochi Raggiunta da 3 colpi alla testa mentre si stava lavando i denti Interrogato a lungo il fidanzato della giovane, una guardia giurata DAL NOSTRO INVIATO OROSEI - Una scarica di proiettili in faccia, almeno tre colpi, l'assassino le ha quasi appoggiato la pistola, lei era in bagno, lo spazzolino fra i denti. Roberta Neri, 29 anni, di Noli (Savona), e' stata uccisa almeno 7 giorni fa, ha il volto sfigurato, il corpo in decomposizione. Da tre anni in Sardegna, costa orientale, noleggiava videogames nei bar e nelle sale giochi. Non e' la sola analogia con il "giallo" di Genova, probabilmente anche lei conosceva chi ha sparato, l'ha fatto entrare in casa, l'assassino e' andato via chiudendosi dietro la porta a chiave. Ma nient'altro che faccia pensare a un unico filo con l'uccisione degli sposi al ritorno dal viaggio di nozze, qui il racket dei videogiochi e delle scommesse clandestine non esiste. I carabinieri seguono altre piste, il delitto passionale, un corteggiatore respinto, gelosia e lite. Nessun segno di violenza, vestiti senza strappi, nell'appartamento tutto in ordine, non e' stata una rapina: nessuno ha messo a soqquadro i cassetti, non sono stati portati via soldi. In caserma per accertamenti una decina di persone e fino a tarda sera anche Salvatore Saba, 40 anni, di Orosei. Da due anni ha una relazione con la Neri, che l'ha associato nella gestione dei videogames. Se non e' indagato (si ipotizzava una ricognizione per accertare se nelle mani e negli abiti avesse tracce di polvere da sparo), certo e' chiamato a dare spiegazioni su particolari importanti: cosa sa delle chiavi di casa, come mai non ha segnalato la prolungata assenza della donna, perche' ha continuato a ritirare gli incassi. "Saba non e' in stato di fermo - hanno detto gli inquirenti - stiamo controllando il suo racconto". E' stato Antonio Neri, padre di Roberta, a insospettirsi: "Da qualche giorno non riuscivo a rintracciare al telefono mia figlia, lei quasi ogni giorno ci faceva sapere notizie". Era ordinata e metodica negli appuntamenti sul lavoro: attendeva di ricevere nuovi giochi, davvero strano che non si fosse messa in contatto con i fornitori. Il papa' e' piombato ieri mattina in Sardegna, ha visto che la porta dell'appartamento di Roberta, al primo piano in una villetta bifamiliare alla periferia di Orosei, era sprangata e ha dato l'allarme. Dopo mezzogiorno i carabinieri hanno sfondato una finestra e hanno trovato il cadavere, riverso nel bagno accanto al lavabo. Roberta Neri: una bella ragazza, non alta, riccioli castani, poche amicizie. Era presa dal lavoro, faceva i suoi giri settimanali nei bar per controllare le macchine e riscuotere le percentuali. Rapporti buoni con tutti. Anche con Salvatore Saba nessuno screzio; lui e' sposato ma da tempo separato, ha un'altra abitazione a Orosei, frequentava abitualmente la villetta bifamiliare. Non nascondevano la loro relazione. Nessuno ha visto persone sospette intorno alla villetta, nessuno ha sentito gli spari. Indagini difficili per il sostituto procuratore Giorgio Latti e per i carabinieri di Nuoro. Oggi l'autopsia e il controlo dei tabulati del telefono cellulare, che dara' i nomi delle ultime persone con le quali Roberta ha parlato prima di essere assassinata.
Da pochi mesi un ex vigilante era tornato in paese dopo aver scontato parte della pena a 14 anni che gli erano stati inflitti per l'omicidio di Roberta Neri, che aveva confessato in Aula.
La condanna più pesante, quella che nessun giudice avrebbe potuto determinare, se l'è inflitta da solo. Forse Salvatore Saba non ha retto il peso della colpa: quella di aver ucciso, 15 anni fa, la fidanzata Roberta Neri. E a tutto quello che ne è conseguito. Due notti fa si è impiccato a un albero nella pineta di Su Barone, a Orosei. Nella sua abitazione, un biglietto di richiesta di perdono indirizzato all'anziana madre.
Venerdì 16 marzo 2012 08.41
Per non dimenticare il delitto
----------------------------------------------------------------- Nell'omicidio di Orosei inquietanti analogie con il caso della coppia massacrata. Ma gli inquirenti: solo un caso Uccisa in casa, giallo - bis in Sardegna La vittima e' una donna ligure e anche lei si occupava di video - giochi Raggiunta da 3 colpi alla testa mentre si stava lavando i denti Interrogato a lungo il fidanzato della giovane, una guardia giurata DAL NOSTRO INVIATO OROSEI - Una scarica di proiettili in faccia, almeno tre colpi, l'assassino le ha quasi appoggiato la pistola, lei era in bagno, lo spazzolino fra i denti. Roberta Neri, 29 anni, di Noli (Savona), e' stata uccisa almeno 7 giorni fa, ha il volto sfigurato, il corpo in decomposizione. Da tre anni in Sardegna, costa orientale, noleggiava videogames nei bar e nelle sale giochi. Non e' la sola analogia con il "giallo" di Genova, probabilmente anche lei conosceva chi ha sparato, l'ha fatto entrare in casa, l'assassino e' andato via chiudendosi dietro la porta a chiave. Ma nient'altro che faccia pensare a un unico filo con l'uccisione degli sposi al ritorno dal viaggio di nozze, qui il racket dei videogiochi e delle scommesse clandestine non esiste. I carabinieri seguono altre piste, il delitto passionale, un corteggiatore respinto, gelosia e lite. Nessun segno di violenza, vestiti senza strappi, nell'appartamento tutto in ordine, non e' stata una rapina: nessuno ha messo a soqquadro i cassetti, non sono stati portati via soldi. In caserma per accertamenti una decina di persone e fino a tarda sera anche Salvatore Saba, 40 anni, di Orosei. Da due anni ha una relazione con la Neri, che l'ha associato nella gestione dei videogames. Se non e' indagato (si ipotizzava una ricognizione per accertare se nelle mani e negli abiti avesse tracce di polvere da sparo), certo e' chiamato a dare spiegazioni su particolari importanti: cosa sa delle chiavi di casa, come mai non ha segnalato la prolungata assenza della donna, perche' ha continuato a ritirare gli incassi. "Saba non e' in stato di fermo - hanno detto gli inquirenti - stiamo controllando il suo racconto". E' stato Antonio Neri, padre di Roberta, a insospettirsi: "Da qualche giorno non riuscivo a rintracciare al telefono mia figlia, lei quasi ogni giorno ci faceva sapere notizie". Era ordinata e metodica negli appuntamenti sul lavoro: attendeva di ricevere nuovi giochi, davvero strano che non si fosse messa in contatto con i fornitori. Il papa' e' piombato ieri mattina in Sardegna, ha visto che la porta dell'appartamento di Roberta, al primo piano in una villetta bifamiliare alla periferia di Orosei, era sprangata e ha dato l'allarme. Dopo mezzogiorno i carabinieri hanno sfondato una finestra e hanno trovato il cadavere, riverso nel bagno accanto al lavabo. Roberta Neri: una bella ragazza, non alta, riccioli castani, poche amicizie. Era presa dal lavoro, faceva i suoi giri settimanali nei bar per controllare le macchine e riscuotere le percentuali. Rapporti buoni con tutti. Anche con Salvatore Saba nessuno screzio; lui e' sposato ma da tempo separato, ha un'altra abitazione a Orosei, frequentava abitualmente la villetta bifamiliare. Non nascondevano la loro relazione. Nessuno ha visto persone sospette intorno alla villetta, nessuno ha sentito gli spari. Indagini difficili per il sostituto procuratore Giorgio Latti e per i carabinieri di Nuoro. Oggi l'autopsia e il controlo dei tabulati del telefono cellulare, che dara' i nomi delle ultime persone con le quali Roberta ha parlato prima di essere assassinata.
La condanna più pesante, quella che nessun giudice avrebbe potuto determinare, se l'è inflitta da solo. Forse Salvatore Saba non ha retto il peso della colpa: quella di aver ucciso, 15 anni fa, la fidanzata Roberta Neri. E a tutto quello che ne è conseguito. Due notti fa si è impiccato a un albero nella pineta di Su Barone, a Orosei. Nella sua abitazione, un biglietto di richiesta di perdono indirizzato all'anziana madre.
Venerdì 16 marzo 2012 08.41
Per non dimenticare il delitto
----------------------------------------------------------------- Nell'omicidio di Orosei inquietanti analogie con il caso della coppia massacrata. Ma gli inquirenti: solo un caso Uccisa in casa, giallo - bis in Sardegna La vittima e' una donna ligure e anche lei si occupava di video - giochi Raggiunta da 3 colpi alla testa mentre si stava lavando i denti Interrogato a lungo il fidanzato della giovane, una guardia giurata DAL NOSTRO INVIATO OROSEI - Una scarica di proiettili in faccia, almeno tre colpi, l'assassino le ha quasi appoggiato la pistola, lei era in bagno, lo spazzolino fra i denti. Roberta Neri, 29 anni, di Noli (Savona), e' stata uccisa almeno 7 giorni fa, ha il volto sfigurato, il corpo in decomposizione. Da tre anni in Sardegna, costa orientale, noleggiava videogames nei bar e nelle sale giochi. Non e' la sola analogia con il "giallo" di Genova, probabilmente anche lei conosceva chi ha sparato, l'ha fatto entrare in casa, l'assassino e' andato via chiudendosi dietro la porta a chiave. Ma nient'altro che faccia pensare a un unico filo con l'uccisione degli sposi al ritorno dal viaggio di nozze, qui il racket dei videogiochi e delle scommesse clandestine non esiste. I carabinieri seguono altre piste, il delitto passionale, un corteggiatore respinto, gelosia e lite. Nessun segno di violenza, vestiti senza strappi, nell'appartamento tutto in ordine, non e' stata una rapina: nessuno ha messo a soqquadro i cassetti, non sono stati portati via soldi. In caserma per accertamenti una decina di persone e fino a tarda sera anche Salvatore Saba, 40 anni, di Orosei. Da due anni ha una relazione con la Neri, che l'ha associato nella gestione dei videogames. Se non e' indagato (si ipotizzava una ricognizione per accertare se nelle mani e negli abiti avesse tracce di polvere da sparo), certo e' chiamato a dare spiegazioni su particolari importanti: cosa sa delle chiavi di casa, come mai non ha segnalato la prolungata assenza della donna, perche' ha continuato a ritirare gli incassi. "Saba non e' in stato di fermo - hanno detto gli inquirenti - stiamo controllando il suo racconto". E' stato Antonio Neri, padre di Roberta, a insospettirsi: "Da qualche giorno non riuscivo a rintracciare al telefono mia figlia, lei quasi ogni giorno ci faceva sapere notizie". Era ordinata e metodica negli appuntamenti sul lavoro: attendeva di ricevere nuovi giochi, davvero strano che non si fosse messa in contatto con i fornitori. Il papa' e' piombato ieri mattina in Sardegna, ha visto che la porta dell'appartamento di Roberta, al primo piano in una villetta bifamiliare alla periferia di Orosei, era sprangata e ha dato l'allarme. Dopo mezzogiorno i carabinieri hanno sfondato una finestra e hanno trovato il cadavere, riverso nel bagno accanto al lavabo. Roberta Neri: una bella ragazza, non alta, riccioli castani, poche amicizie. Era presa dal lavoro, faceva i suoi giri settimanali nei bar per controllare le macchine e riscuotere le percentuali. Rapporti buoni con tutti. Anche con Salvatore Saba nessuno screzio; lui e' sposato ma da tempo separato, ha un'altra abitazione a Orosei, frequentava abitualmente la villetta bifamiliare. Non nascondevano la loro relazione. Nessuno ha visto persone sospette intorno alla villetta, nessuno ha sentito gli spari. Indagini difficili per il sostituto procuratore Giorgio Latti e per i carabinieri di Nuoro. Oggi l'autopsia e il controlo dei tabulati del telefono cellulare, che dara' i nomi delle ultime persone con le quali Roberta ha parlato prima di essere assassinata.
giovedì 15 marzo 2012
Sit-in ad oltranza per mamma Federica
Molto seguito l'intervento in diretta questa mattina di Federica
Puma
con il suo avvocato Giuseppe Lipera per parlare del caso
riguardante la
bambina di Federica che già da tre mesi si trova
rinchiusa in una Casa
Famiglia romana.
Continua intanto anche oggi il
sit in di protesta sul
lungotevere di Roma angolo Via dei Bresciani
sede del Tribunale per i
Minorenni di Roma .
Diverse mamme, a cui si
sono aggiunti oggi anche
delle Suore, stazionano davanti per
protestare per esprimere
solidarietà a mamma Federica.
Oggi frattanto
l'avv. Giuseppe Lipera
con la sua collega Raffaella Scutieri ha
depositato una ennesima
istanza tendente a ottenere subito la
liberazione della bambina o in
subordine l'anticipazione dell'udienza
prevista per il 17 aprile
prossimo .
“Un altro mese di prigionia e '
un tempo troppo lungo e
aggraverebbe ancora di più il serio nocumento
che sta patendo quella
povera creatura di appena sette anni.
I
Giudici devono fare in fretta
perché la bambina soffre inutilmente
rinchiusa in quella Casa Famiglia
e lo sanno tutti gli italiani
adesso”. “Solo errare è umano,
perseverare no!”
Il sit in andrà in
oltranza avanti sino al giorno in
cui la bambina verrà restituita alla
mamma .
Roma 15 marzo 2012
Avv.
Giuseppe Lipera
Puma
con il suo avvocato Giuseppe Lipera per parlare del caso
riguardante la
bambina di Federica che già da tre mesi si trova
rinchiusa in una Casa
Famiglia romana.
Continua intanto anche oggi il
sit in di protesta sul
lungotevere di Roma angolo Via dei Bresciani
sede del Tribunale per i
Minorenni di Roma .
Diverse mamme, a cui si
sono aggiunti oggi anche
delle Suore, stazionano davanti per
protestare per esprimere
solidarietà a mamma Federica.
Oggi frattanto
l'avv. Giuseppe Lipera
con la sua collega Raffaella Scutieri ha
depositato una ennesima
istanza tendente a ottenere subito la
liberazione della bambina o in
subordine l'anticipazione dell'udienza
prevista per il 17 aprile
prossimo .
“Un altro mese di prigionia e '
un tempo troppo lungo e
aggraverebbe ancora di più il serio nocumento
che sta patendo quella
povera creatura di appena sette anni.
I
Giudici devono fare in fretta
perché la bambina soffre inutilmente
rinchiusa in quella Casa Famiglia
e lo sanno tutti gli italiani
adesso”. “Solo errare è umano,
perseverare no!”
Il sit in andrà in
oltranza avanti sino al giorno in
cui la bambina verrà restituita alla
mamma .
Roma 15 marzo 2012
Avv.
Giuseppe Lipera
sabato 10 marzo 2012
Aiutiamo Mamma Federica...
MAMMA TI PREGO PORTAMI VIA!!!
COMUNICATO STAMPA DELL’AVV. G. LIPERA CON ALLEGATO DOCUMENTO
“Giornalisti dateci una mano, Cazzo!”
Tre mesi sono lunghi da passare, diceva tempo fa Rosanna Fratello, e tuttavia sono inesorabilmente trascorsi, tant’è che la bambina tolta alla mamma il 14 dicembre 2011, per decisione del Tribunale per i Minorenni di Roma (presieduto da Melita Cavallo), chiede ancora e insistentemente alla sua mamma “cosa ha detto il giudice … quando esco da qui?”.
Sì proprio come una reclusa; sol che i detenuti vengono incarcerati nell’interesse della collettività, perché (in teoria e salvo il caso di innocenti) ci sono esigenze cautelari, sono un pericolo per la società e poi devono essere puniti e rieducati, mentre nel caso della bambina di sette anni essa verrebbe reclusa nel suo interesse.
Minchia! Vai e spiegalo a una bambina di sette anni - che fino al 14 dicembre scorso viveva a casa sua, trattata come una vera regina, con la sua mamma, coi suoi giocattoli, che aveva i suoi nonni, le sue zie, le sue compagnette, la sua bella scuola, le sue maestre ecc .. e ora di suo non ha più niente nemmeno la sua vita - che si trova reclusa nel suo interesse. Ti dirà subito che sei matto!
“Cazzo assuma il comando!” gli disse quello a Schettino, ma noi avvocati non possiamo dirlo ai Giudici “Cazzo restituisca la mamma alla bambina”.
I Giudici non sono come Schettino che ha sbagliato, i giudici non falliscono mai, perché interpretano la Legge (vedrete che anche Schettino la prossima volta che nasce farà il Magistrato anziché il Capitano di lungo corso).
Quindi non possiamo gridare al Giudice “Cazzo ha errato ora cerchi di limitare i danni”, non solo perché non diventeremmo famosi come quel comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, ma perché faremmo “oltraggio alla Corte”; noi i Giudici li dobbiamo implorare e pregare anche quando non vi è chi non veda che stanno perpetuando in un grave abbaglio; le navi da crociera non devono più fare l’inchino, dopo il naufragio del Giglio, invece noi avvocati sì e guai se non lo facciamo.
Allora ci rivolgiamo ai nostri pari, cioè a quelle persone come noi, comuni mortali, che sono cittadini normali e non hanno vinto alcun concorso statale per Padre Eterno:
“Giornalisti dateci una mano, Cazzo!”
In una settimana 6046 visualizzazioni su YouTube (in questo preciso istante) non sono poca roba, così come le migliaia di persone che continuano giornalmente a scrivere su face book, come quell’ anonima che due giorni fa – nel link http://www.youtube.com/watch?v=ty1PdWOKo5E - ha così commentato: “io lo condivido su fb ... faccio parte di un forum di mamme single e tutte lo abbiamo ascoltato questo video ... credo di poter dire a nome di tutte che siamo disponibili a fare qualsiasi attività di divulgazione o di aiuto per aiutare questo angioletto e la sua mamma ... “.
Allego quindi l’ultima istanza - rivolta ai nuovi giudici Angela Rivellese e Cristina Capranica (la presidente Melita Cavallo è fuori perché è stata denunciata due volte dalla signora PUMA) per la liberazione della bambina, il cui nome è cancellato, che abbiamo presentato quali difensori di PUMA Federica, mamma della creatura di 7 anni.
A corredarla non ci sono le grida degli Ultras o dei No Tav, ma un ulteriore seria e autorevole certificazione (che è meglio delle fantasticherie delle assistenti sociali municipali) di un Dirigente Medico psichiatra, dott. Andrea Mazzeo, il quale, con scienza e coscienza avendone i titoli professionali e di lunga carriera, dopo logiche argomentazioni, così conclude e afferma:
COMUNICATO STAMPA DELL’AVV. G. LIPERA CON ALLEGATO DOCUMENTO
“Giornalisti dateci una mano, Cazzo!”
Tre mesi sono lunghi da passare, diceva tempo fa Rosanna Fratello, e tuttavia sono inesorabilmente trascorsi, tant’è che la bambina tolta alla mamma il 14 dicembre 2011, per decisione del Tribunale per i Minorenni di Roma (presieduto da Melita Cavallo), chiede ancora e insistentemente alla sua mamma “cosa ha detto il giudice … quando esco da qui?”.
Sì proprio come una reclusa; sol che i detenuti vengono incarcerati nell’interesse della collettività, perché (in teoria e salvo il caso di innocenti) ci sono esigenze cautelari, sono un pericolo per la società e poi devono essere puniti e rieducati, mentre nel caso della bambina di sette anni essa verrebbe reclusa nel suo interesse.
Minchia! Vai e spiegalo a una bambina di sette anni - che fino al 14 dicembre scorso viveva a casa sua, trattata come una vera regina, con la sua mamma, coi suoi giocattoli, che aveva i suoi nonni, le sue zie, le sue compagnette, la sua bella scuola, le sue maestre ecc .. e ora di suo non ha più niente nemmeno la sua vita - che si trova reclusa nel suo interesse. Ti dirà subito che sei matto!
“Cazzo assuma il comando!” gli disse quello a Schettino, ma noi avvocati non possiamo dirlo ai Giudici “Cazzo restituisca la mamma alla bambina”.
I Giudici non sono come Schettino che ha sbagliato, i giudici non falliscono mai, perché interpretano la Legge (vedrete che anche Schettino la prossima volta che nasce farà il Magistrato anziché il Capitano di lungo corso).
Quindi non possiamo gridare al Giudice “Cazzo ha errato ora cerchi di limitare i danni”, non solo perché non diventeremmo famosi come quel comandante della Capitaneria di Porto di Livorno, ma perché faremmo “oltraggio alla Corte”; noi i Giudici li dobbiamo implorare e pregare anche quando non vi è chi non veda che stanno perpetuando in un grave abbaglio; le navi da crociera non devono più fare l’inchino, dopo il naufragio del Giglio, invece noi avvocati sì e guai se non lo facciamo.
Allora ci rivolgiamo ai nostri pari, cioè a quelle persone come noi, comuni mortali, che sono cittadini normali e non hanno vinto alcun concorso statale per Padre Eterno:
“Giornalisti dateci una mano, Cazzo!”
In una settimana 6046 visualizzazioni su YouTube (in questo preciso istante) non sono poca roba, così come le migliaia di persone che continuano giornalmente a scrivere su face book, come quell’ anonima che due giorni fa – nel link http://www.youtube.com/watch?v=ty1PdWOKo5E - ha così commentato: “io lo condivido su fb ... faccio parte di un forum di mamme single e tutte lo abbiamo ascoltato questo video ... credo di poter dire a nome di tutte che siamo disponibili a fare qualsiasi attività di divulgazione o di aiuto per aiutare questo angioletto e la sua mamma ... “.
Allego quindi l’ultima istanza - rivolta ai nuovi giudici Angela Rivellese e Cristina Capranica (la presidente Melita Cavallo è fuori perché è stata denunciata due volte dalla signora PUMA) per la liberazione della bambina, il cui nome è cancellato, che abbiamo presentato quali difensori di PUMA Federica, mamma della creatura di 7 anni.
A corredarla non ci sono le grida degli Ultras o dei No Tav, ma un ulteriore seria e autorevole certificazione (che è meglio delle fantasticherie delle assistenti sociali municipali) di un Dirigente Medico psichiatra, dott. Andrea Mazzeo, il quale, con scienza e coscienza avendone i titoli professionali e di lunga carriera, dopo logiche argomentazioni, così conclude e afferma:
venerdì 9 marzo 2012
Ragazza investita ed uccisa a Roma
ROMA - Una ragazza di 22 anni è morta dopo essere stata investita da una Smart che è passata con il rosso. È accaduto in via Salaria, al chilometro 13.200, in zona Settebagni intorno alle 14. Sul posto la polizia stradale. Dai primi rilievi della polizia stradale sembra che la vittima, A.D.P. 22enne romana, stava attraversavano con la bici un incrocio quando l'auto che procedeva in direzione opposta è passata con il rosso e l'ha investita. A guidare la Smart una donna che, secondo quanto si è appreso, si è fermata a prestare soccorso ed è risultata negativa ai test dell'alcol e della droga.
Interrogazione del senatore Pedica sul caso di Luisa&Lillo
PEDICA - Al Ministro della salute - Premesso che:
S.P., detto Lillo, sotto-capo della Marina militare a Brindisi, in data 7 agosto 2003, nella località Santa Sabina di Carovigno (Brindisi), ha un arresto cardiaco;
a causa della mancanza di ossigeno Lillo subisce danni cerebrali. La notizia è data più tardi ai familiari in ospedale, dove i medici riferiscono altresì dello stato di coma del giovane;
intubato il ragazzo viene trasportato all'unità di rianimazione di Brindisi, dove rimane per tre mesi, poi viene trasferito al Villa Verde di Lecce e vi rimane altri cinque mesi. Dopo otto mesi tra rianimazione e unità di risveglio viene riferito che il miglior luogo per il giovane è la famiglia, ma la diagnosi è gravissima: stato vegetativo persistente per conseguenze post -anossiche, con danni cerebrali parietali, temporali, corticali;
in data 28 marzo 2004 il ragazzo, bisognoso di assistenza continua, viene riportato a casa, dove, da allora, lo assistono 24 su 24 ore la madre e il padre che, nel frattempo, per stare vicino al figlio hanno deciso di abbandonare il lavoro;
la famiglia riferisce all'interrogante come la situazione sia veramente drammatica, anche a causa della mancanza di un'adeguata assistenza domiciliare effettuata da figure professionali competenti. In particolare sono state anche ridotte le sedute di fisioterapia, che tra l'altro durano meno di mezz'ora, da cinque a tre giorni a settimana;
la famiglia nel 2009 viene a conoscenza di un centro di riabilitazione di altissima specializzazione in Svizzera (Valens), che notoriamente non conosce eguali in Italia: la Clinica Valens, infatti, specializzata in neurologia e neuro riabilitazione, è considerata uno dei centri di riabilitazione leader a livello internazionale. Nella clinica vengono assistiti pazienti con impedita o ridotta capacità motoria provenienti dalla Svizzera e dall'estero;
considerato che:
i genitori di Lillo decidono quindi di inoltrare domanda e relativa documentazione al suddetto centro per un primo ciclo di cura, che inizierà circa un anno data la lunga lista d'attesa;
la famiglia riferisce all'interrogante di aver iniziato, nel mese di giugno 2010, ad instaurare un dialogo con la Direzione sanitaria della Azienda sanitaria locale di Brindisi - all'epoca il direttore sanitario era il dottor Rodolfo Rollo - riuscendo ad ottenere l'autorizzazione per effettuare il primo ciclo di cura nel centro svizzero;
nonostante la mancata dazione di un anticipo delle spese da parte della Asl competente, e nonostante la grave situazione economica in cui versano, i genitori riescono a sopportare il costo della suddetta cura grazie all'apertura, su un social network, di una campagna di solidarietà per il giovane;
nell'agosto 2010 la famiglia si reca in Svizzera per far effettuare a Lillo il primo ciclo di cure: in proposito riferisce di aver dovuto anticipare ogni somma e di non aver ricevuto ancora alcun rimborso;
nel novembre 2010 la famiglia viene poi autorizzata a recarsi nuovamente in Svizzera per far effettuare un'operazione molto complicata ai piedi del giovane: la riabilitazione viene svolta nuovamente presso la clinica di Valens, e nell'occasione gli interessati ottengono i rimborsi economici da parte della Asl di Brindisi;
in data 19 luglio 2011 la famiglia presenta la richiesta per un altro ciclo, ma non riceve alcuna risposta in proposito. Sceglie allora di partire comunque per la Svizzera, sostenuta economicamente ancora una volta dalla generosità delle persone; nel frattempo decide altresì di affidarsi ad un legale per la tutela degli interessi del giovane, anche perché è venuta a conoscenza di casi simili a quello di Lillo, casi in cui però sono stati autorizzati diversi cicli di cure presso la clinica svizzera;
la famiglia riferisce inoltre che le cure svizzere hanno determinato un evidente miglioramento delle condizioni di Lillo;
in data 2 febbraio 2012, convinti della bontà delle cure svizzere e pronti ad ogni sacrificio per la salute del proprio figlio, i genitori ripresentano la domanda per l'autorizzazione ad un altro ciclo di cure sempre presso la Clinica svizzera,
la famiglia riferisce che, in data 21 febbraio 2012, il responsabile del Centro di riferimento regionale, che è un fisiatra, e altri due soggetti si sono recati presso l'abitazione del giovane per verificare le condizioni dello stesso;
in data 5 marzo 2012 la famiglia riceve una raccomandata dalla Asl competente dove viene riferito il parere negativo in relazione al nuovo ciclo di cure presso la clinica svizzera, a causa delle condizioni ormai stabili del giovane che avrebbe solo bisogno di nursing continuativo ma non di riabilitazione intensiva. Si tratta di un dato ritenuto dagli interessati in forte contraddizione con la relazione del fisiatra, redatta per la presentazione della richiesta, nonché contrario a quanto sostenuto dalla stessa clinica svizzera;
ad avviso dell'interrogante ci si trova di fronte ad una situazione estremamente delicata, coinvolgente diritti fondamentali dell'uomo costituzionalmente garantiti, che richiede una verifica attenta della bontà della decisione della Asl di Brindisi in ordine all'inutilità delle cure richieste dalla famiglia del giovane, data, tra l'altro, l'impossibilità della stessa di far fronte alle spese per le cure all'estero senza il sostegno pubblico,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti in premessa;
se e quali provvedimenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare a tutela del diritto alla salute del giovane coinvolto, in particolare verificando la bontà delle scelte che hanno condotto la Asl competente a negare l'aiuto richiesto.
(4-07042) del 8 marzo 2012
S.P., detto Lillo, sotto-capo della Marina militare a Brindisi, in data 7 agosto 2003, nella località Santa Sabina di Carovigno (Brindisi), ha un arresto cardiaco;
a causa della mancanza di ossigeno Lillo subisce danni cerebrali. La notizia è data più tardi ai familiari in ospedale, dove i medici riferiscono altresì dello stato di coma del giovane;
intubato il ragazzo viene trasportato all'unità di rianimazione di Brindisi, dove rimane per tre mesi, poi viene trasferito al Villa Verde di Lecce e vi rimane altri cinque mesi. Dopo otto mesi tra rianimazione e unità di risveglio viene riferito che il miglior luogo per il giovane è la famiglia, ma la diagnosi è gravissima: stato vegetativo persistente per conseguenze post -anossiche, con danni cerebrali parietali, temporali, corticali;
in data 28 marzo 2004 il ragazzo, bisognoso di assistenza continua, viene riportato a casa, dove, da allora, lo assistono 24 su 24 ore la madre e il padre che, nel frattempo, per stare vicino al figlio hanno deciso di abbandonare il lavoro;
la famiglia riferisce all'interrogante come la situazione sia veramente drammatica, anche a causa della mancanza di un'adeguata assistenza domiciliare effettuata da figure professionali competenti. In particolare sono state anche ridotte le sedute di fisioterapia, che tra l'altro durano meno di mezz'ora, da cinque a tre giorni a settimana;
la famiglia nel 2009 viene a conoscenza di un centro di riabilitazione di altissima specializzazione in Svizzera (Valens), che notoriamente non conosce eguali in Italia: la Clinica Valens, infatti, specializzata in neurologia e neuro riabilitazione, è considerata uno dei centri di riabilitazione leader a livello internazionale. Nella clinica vengono assistiti pazienti con impedita o ridotta capacità motoria provenienti dalla Svizzera e dall'estero;
considerato che:
i genitori di Lillo decidono quindi di inoltrare domanda e relativa documentazione al suddetto centro per un primo ciclo di cura, che inizierà circa un anno data la lunga lista d'attesa;
la famiglia riferisce all'interrogante di aver iniziato, nel mese di giugno 2010, ad instaurare un dialogo con la Direzione sanitaria della Azienda sanitaria locale di Brindisi - all'epoca il direttore sanitario era il dottor Rodolfo Rollo - riuscendo ad ottenere l'autorizzazione per effettuare il primo ciclo di cura nel centro svizzero;
nonostante la mancata dazione di un anticipo delle spese da parte della Asl competente, e nonostante la grave situazione economica in cui versano, i genitori riescono a sopportare il costo della suddetta cura grazie all'apertura, su un social network, di una campagna di solidarietà per il giovane;
nell'agosto 2010 la famiglia si reca in Svizzera per far effettuare a Lillo il primo ciclo di cure: in proposito riferisce di aver dovuto anticipare ogni somma e di non aver ricevuto ancora alcun rimborso;
nel novembre 2010 la famiglia viene poi autorizzata a recarsi nuovamente in Svizzera per far effettuare un'operazione molto complicata ai piedi del giovane: la riabilitazione viene svolta nuovamente presso la clinica di Valens, e nell'occasione gli interessati ottengono i rimborsi economici da parte della Asl di Brindisi;
in data 19 luglio 2011 la famiglia presenta la richiesta per un altro ciclo, ma non riceve alcuna risposta in proposito. Sceglie allora di partire comunque per la Svizzera, sostenuta economicamente ancora una volta dalla generosità delle persone; nel frattempo decide altresì di affidarsi ad un legale per la tutela degli interessi del giovane, anche perché è venuta a conoscenza di casi simili a quello di Lillo, casi in cui però sono stati autorizzati diversi cicli di cure presso la clinica svizzera;
la famiglia riferisce inoltre che le cure svizzere hanno determinato un evidente miglioramento delle condizioni di Lillo;
in data 2 febbraio 2012, convinti della bontà delle cure svizzere e pronti ad ogni sacrificio per la salute del proprio figlio, i genitori ripresentano la domanda per l'autorizzazione ad un altro ciclo di cure sempre presso la Clinica svizzera,
la famiglia riferisce che, in data 21 febbraio 2012, il responsabile del Centro di riferimento regionale, che è un fisiatra, e altri due soggetti si sono recati presso l'abitazione del giovane per verificare le condizioni dello stesso;
in data 5 marzo 2012 la famiglia riceve una raccomandata dalla Asl competente dove viene riferito il parere negativo in relazione al nuovo ciclo di cure presso la clinica svizzera, a causa delle condizioni ormai stabili del giovane che avrebbe solo bisogno di nursing continuativo ma non di riabilitazione intensiva. Si tratta di un dato ritenuto dagli interessati in forte contraddizione con la relazione del fisiatra, redatta per la presentazione della richiesta, nonché contrario a quanto sostenuto dalla stessa clinica svizzera;
ad avviso dell'interrogante ci si trova di fronte ad una situazione estremamente delicata, coinvolgente diritti fondamentali dell'uomo costituzionalmente garantiti, che richiede una verifica attenta della bontà della decisione della Asl di Brindisi in ordine all'inutilità delle cure richieste dalla famiglia del giovane, data, tra l'altro, l'impossibilità della stessa di far fronte alle spese per le cure all'estero senza il sostegno pubblico,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza dei fatti in premessa;
se e quali provvedimenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare a tutela del diritto alla salute del giovane coinvolto, in particolare verificando la bontà delle scelte che hanno condotto la Asl competente a negare l'aiuto richiesto.
(4-07042) del 8 marzo 2012
mercoledì 7 marzo 2012
Martedi 6 Marzo intervento Stefano Pedica Mattino5
CERTEZZA DELLA PENA
http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/288645/martedi-6-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1
http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/288645/martedi-6-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1
martedì 6 marzo 2012
Roma capitale della violenza. Dati del procuratore Maria Monteleone
Roma - Nella capitale sono in aumento i reati contro le donne: nel 2011 le violenze sessuali hanno registrato un incremento del 34,42%, cosi’ come gli atti persecutori (+16%). E' quanto emerge dai dati forniti da Maria Monteleone procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma.
A preoccupare in particolare e’ l’aumento degli stupri, che passano da 430 casi del 2010 a 578 del 2011, e lo stalking, le cui denunce da 932 salgono a 1.084. Scendono, invece, i numeri della violenza sessuale di gruppo (da 27 casi del 2010 si e’ passati a 24, con una flessione dell’11,11%). Tra gli altri reati attinenti alla sfera familiare spicca l’aumento della prostituzione minorile (da 38 a 51 casi, +34,21%) e i maltrattamenti in famiglia (da 794 a 861) +8,44%.
Inoltre salgono del 12% i casi di atti sessuali con minorenni (da 103 a 116) cosi’ come la corruzione minorile (da 10 a 15) che registra un aumento del 50% e la sottrazione consensuale di minori (da 25 a 27 casi pari a +8%).
Sono aumentate del 36% le denunce per abuso dei mezzi di correzione (art. 571). Mentre emerge una sensibile diminuzione delle notizie di reato di pornografia minorile (scesa da 198 a 102, -48%) e di detenzione di materiale pornografico (da 184 a 128, -30,43%). In calo anche gli episodi di inosservanza di provvedimenti del giudice circa l’affidamento di minori da 1.157 a 1.083, pari a -6,40% e le denunce per violazione degli obblighi di assistenza familiare (da 1.011 a 893, pari a -11,67%).
A preoccupare in particolare e’ l’aumento degli stupri, che passano da 430 casi del 2010 a 578 del 2011, e lo stalking, le cui denunce da 932 salgono a 1.084. Scendono, invece, i numeri della violenza sessuale di gruppo (da 27 casi del 2010 si e’ passati a 24, con una flessione dell’11,11%). Tra gli altri reati attinenti alla sfera familiare spicca l’aumento della prostituzione minorile (da 38 a 51 casi, +34,21%) e i maltrattamenti in famiglia (da 794 a 861) +8,44%.
Inoltre salgono del 12% i casi di atti sessuali con minorenni (da 103 a 116) cosi’ come la corruzione minorile (da 10 a 15) che registra un aumento del 50% e la sottrazione consensuale di minori (da 25 a 27 casi pari a +8%).
Sono aumentate del 36% le denunce per abuso dei mezzi di correzione (art. 571). Mentre emerge una sensibile diminuzione delle notizie di reato di pornografia minorile (scesa da 198 a 102, -48%) e di detenzione di materiale pornografico (da 184 a 128, -30,43%). In calo anche gli episodi di inosservanza di provvedimenti del giudice circa l’affidamento di minori da 1.157 a 1.083, pari a -6,40% e le denunce per violazione degli obblighi di assistenza familiare (da 1.011 a 893, pari a -11,67%).
domenica 4 marzo 2012
Taranto, in aumento anche i tumori Tra i bambini
A Taranto in 13 anni hanno perso la vita circa 400 persone a causa delle emissioni inquinanti e velenose di una delle più grandi aziende siderurgiche di tutta Europa : l’Ilva.
Lo scorso 1 marzo l’equipe composta da tre professori ed esperti epidemiologi (Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere), incaricati dal gip di Taranto Patrizia Todisco per un’inchiesta a carico dei dirigenti Ilva, ha ultimato la perizia epidemiologica che riporta la seguente conclusione:
“L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte“.
In sette anni sono 174 i decessi causati dall’Ilva: 83 di questi decessi sono attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di Pm10. Per i quartieri limitrofi al siderurgico il dato è ancora più allarmanete perché le vittime arrivano a 91.
Oltre alla morte per tumori e leucemie, causate da questi agenti inquinanti, si aggiungono 648 ricoveri : 193 di essi per malattie cardiache attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo – per la media annuale delle concentrazioni di Pm10 – e 455 ricoveri per malattie respiratorie.
Senza contare il numeroso dato di ricoveri e tumori in età pediatrica.
A Taranto non si vive, né si sopravvive, ci si trascina giorno dopo giorno in una realtà fatta di rassegnazione, sfruttamento e disoccupazione.
Qui raramente possiamo godere di un cielo limpido, troppo spesso il nostro cielo ha queste sembianze.
Questa città non è che il prodotto di un profondo sud usato ed usurpato di ogni diritto e dignità per riempire le tasche dei soliti detentori di potere. La maggior parte dei miei concittadini benedice la fabbrica della morte.
Come si può benedire ciò che da anni è causa di malattie, malformazioni e centinaia di morti bianche?
Semplicemente grazie all’altissimo tasso di disoccupazione, che ammazza quanto l’Ilva. Per i tarantini l’Ilva è l’unico modo per sopravvivere.
Non c’è una sola famiglia che non abbia visto morire un suo caro di leucemia o tumore.
Ho visto gente pregare affinché il proprio figlio prendesse posto di lavoro nell’azienda, per salvarli dalla strada, dalle organizzazioni criminali che spesso trovano terreno fertile in realtà già abbastnza distrutte.
Ho visto donne piangere dal dolore e lottare per avere giustizia per il proprio marito o il proprio figlio andato a lavorare e non tornato mai più.
Ho sentito storie di uomini vittime di mobbing, storie di uomini malati di depressione che hanno tentato il suicido dopo aver subito anche l’umiliazione di essere reclusi durante le ore lavorative nella “Palazzina Laf“: una struttura detentiva presente all’interno del siderurgico utilizzata fino al recentissimo novembre del 1998.
Qui venivano rinchiusi decine di dipendenti – tra questi operai e impiegati – che non avendo lasciato le attività sindacali neanche dopo le varie intimidazioni da parte di superiori venivano puniti in questo modo. Umiliati, controllati da un vigilante, vessati da superiori e colleghi, veniva negato loro anche il saluto dei colleghi vittime anch’essi di determinate disposizioni impartite dai superiori.
L’Ilva non è che uno dei tanti veleni di questa città, complici di questo disastro ambientale e sociale ci sono anche l’Eni e la Cementir.
Lo scorso 1 marzo l’equipe composta da tre professori ed esperti epidemiologi (Annibale Biggeri, Maria Triassi e Francesco Forastiere), incaricati dal gip di Taranto Patrizia Todisco per un’inchiesta a carico dei dirigenti Ilva, ha ultimato la perizia epidemiologica che riporta la seguente conclusione:
“L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte“.
In sette anni sono 174 i decessi causati dall’Ilva: 83 di questi decessi sono attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di Pm10. Per i quartieri limitrofi al siderurgico il dato è ancora più allarmanete perché le vittime arrivano a 91.
Oltre alla morte per tumori e leucemie, causate da questi agenti inquinanti, si aggiungono 648 ricoveri : 193 di essi per malattie cardiache attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo – per la media annuale delle concentrazioni di Pm10 – e 455 ricoveri per malattie respiratorie.
Senza contare il numeroso dato di ricoveri e tumori in età pediatrica.
A Taranto non si vive, né si sopravvive, ci si trascina giorno dopo giorno in una realtà fatta di rassegnazione, sfruttamento e disoccupazione.
Qui raramente possiamo godere di un cielo limpido, troppo spesso il nostro cielo ha queste sembianze.
Questa città non è che il prodotto di un profondo sud usato ed usurpato di ogni diritto e dignità per riempire le tasche dei soliti detentori di potere. La maggior parte dei miei concittadini benedice la fabbrica della morte.
Come si può benedire ciò che da anni è causa di malattie, malformazioni e centinaia di morti bianche?
Semplicemente grazie all’altissimo tasso di disoccupazione, che ammazza quanto l’Ilva. Per i tarantini l’Ilva è l’unico modo per sopravvivere.
Non c’è una sola famiglia che non abbia visto morire un suo caro di leucemia o tumore.
Ho visto gente pregare affinché il proprio figlio prendesse posto di lavoro nell’azienda, per salvarli dalla strada, dalle organizzazioni criminali che spesso trovano terreno fertile in realtà già abbastnza distrutte.
Ho visto donne piangere dal dolore e lottare per avere giustizia per il proprio marito o il proprio figlio andato a lavorare e non tornato mai più.
Ho sentito storie di uomini vittime di mobbing, storie di uomini malati di depressione che hanno tentato il suicido dopo aver subito anche l’umiliazione di essere reclusi durante le ore lavorative nella “Palazzina Laf“: una struttura detentiva presente all’interno del siderurgico utilizzata fino al recentissimo novembre del 1998.
Qui venivano rinchiusi decine di dipendenti – tra questi operai e impiegati – che non avendo lasciato le attività sindacali neanche dopo le varie intimidazioni da parte di superiori venivano puniti in questo modo. Umiliati, controllati da un vigilante, vessati da superiori e colleghi, veniva negato loro anche il saluto dei colleghi vittime anch’essi di determinate disposizioni impartite dai superiori.
L’Ilva non è che uno dei tanti veleni di questa città, complici di questo disastro ambientale e sociale ci sono anche l’Eni e la Cementir.
I dieci comandamenti. Niccolò Rinaldi
Cari Amici,
tra rabbia e disimpegno, forza e impegno, nei prossimi tre mesi propongo un percorso di dieci incontri di riscoperta, riflessioni, domande su alcune delle leggi fondamentali del nostro convivere: un incontro per ciascuno dei Dieci comandamenti biblici, così antichi e così attuali.
Lo scopo è di attualizzare il senso di queste leggi fondamentali, confrontandoci con i costumi e il sentire del nostro tempo - consumismo, individualismo, potere, sessismo, violenza, avidità, o amore, speranza, fedeltà e passione.
Un ciclo che vede deliberatamente a confronto personaggi con un proprio percorso, molto spesso tutt'altro che politico nel senso tradizionale, ma che col loro impegno hanno qualcosa da dire sul loro rapporto con un preciso comandamento. Persone diverse tra loro, sognatori o cinici, giovani o vecchie volpi, in luoghi grandi e piccoli, e tutti senza un canovaccio prestabilito.
I dieci incontri si svolgono volutamente in località disparate, grandi e piccole, nelle quattro regioni dell'Italia centrale: da Roma a Filetto di Lunigiana, da Firenze a Genzano, da Livorno a Terni, per abbracciare idealmente questa Italia fatta di metropoli e borghi, di provincia e di centri.
Un percorso diverso dai canoni della politica italiana, ma i vecchi dieci comandamenti sono sempre lì, quasi banali, li conosciamo fin da bambini, e forse farà bene tornare a bussare alla loro porta.
Niccolò Rinaldi
In occasione della Festa della Donna, vi invito a partecipare al primo appuntamento
"Non desiderare la donna d'altri"
8 marzo ore 20:30
circolo cittadino "Sante Palumbo"
Piazza del Popolo, Latina.
Intervengono
Niccolò Rinaldi Capo-delegazione Idv al parlamento Europeo
On. Vincenzo Maruccio
Letizia Colaguori avvocato
Cristina Pansera psicologa
Federica Ferrari imprenditrice
LE DONNE DELLA TACCONI SUD
Joseph Fontano coreografo
Vista la significativa coincidenza di data analizzeremo insieme evoluzioni, significato, apporto e contributo della donna nella società attuale e nella vita politica del Paese.
tra rabbia e disimpegno, forza e impegno, nei prossimi tre mesi propongo un percorso di dieci incontri di riscoperta, riflessioni, domande su alcune delle leggi fondamentali del nostro convivere: un incontro per ciascuno dei Dieci comandamenti biblici, così antichi e così attuali.
Lo scopo è di attualizzare il senso di queste leggi fondamentali, confrontandoci con i costumi e il sentire del nostro tempo - consumismo, individualismo, potere, sessismo, violenza, avidità, o amore, speranza, fedeltà e passione.
Un ciclo che vede deliberatamente a confronto personaggi con un proprio percorso, molto spesso tutt'altro che politico nel senso tradizionale, ma che col loro impegno hanno qualcosa da dire sul loro rapporto con un preciso comandamento. Persone diverse tra loro, sognatori o cinici, giovani o vecchie volpi, in luoghi grandi e piccoli, e tutti senza un canovaccio prestabilito.
I dieci incontri si svolgono volutamente in località disparate, grandi e piccole, nelle quattro regioni dell'Italia centrale: da Roma a Filetto di Lunigiana, da Firenze a Genzano, da Livorno a Terni, per abbracciare idealmente questa Italia fatta di metropoli e borghi, di provincia e di centri.
Un percorso diverso dai canoni della politica italiana, ma i vecchi dieci comandamenti sono sempre lì, quasi banali, li conosciamo fin da bambini, e forse farà bene tornare a bussare alla loro porta.
Niccolò Rinaldi
In occasione della Festa della Donna, vi invito a partecipare al primo appuntamento
"Non desiderare la donna d'altri"
8 marzo ore 20:30
circolo cittadino "Sante Palumbo"
Piazza del Popolo, Latina.
Intervengono
Niccolò Rinaldi Capo-delegazione Idv al parlamento Europeo
On. Vincenzo Maruccio
Letizia Colaguori avvocato
Cristina Pansera psicologa
Federica Ferrari imprenditrice
LE DONNE DELLA TACCONI SUD
Joseph Fontano coreografo
Vista la significativa coincidenza di data analizzeremo insieme evoluzioni, significato, apporto e contributo della donna nella società attuale e nella vita politica del Paese.
sabato 3 marzo 2012
Follia omicida.... Brescia 4 persone uccise dall'ex marito
BRESCIA - Tragedia della follia stanotte a Brescia dove ben quattro persone sono state uccise. A commettere la strage è stato un giovane di 34 anni. Tra le vittime anche l'ex moglie dell'uomo. Tra i due la separazione era stata burrascosa.
CHOC ALLE 3.30. È successo tutto intorno alle 3.30 in via Raffaello. L'uomo ha sparato, in strada, prima all'ex coniuge e ad un amico della donna, uccidendoli, poi si è recato nell'abitazione dell'ex moglie, dove ha trovato la figlia ventenne della donna, che la vittima aveva avuto da una precedente relazione, ed un amico della giovane, pure lui ventenne: L'uomo ha impugnato di nuovo l'arma e non ha risparmiato neppure loro. Subito dopo gli omicidi il34enne è stato fermato da un militare dell'Arma, residente a pochi metri di distanza dal luogo del delitto.
CHOC ALLE 3.30. È successo tutto intorno alle 3.30 in via Raffaello. L'uomo ha sparato, in strada, prima all'ex coniuge e ad un amico della donna, uccidendoli, poi si è recato nell'abitazione dell'ex moglie, dove ha trovato la figlia ventenne della donna, che la vittima aveva avuto da una precedente relazione, ed un amico della giovane, pure lui ventenne: L'uomo ha impugnato di nuovo l'arma e non ha risparmiato neppure loro. Subito dopo gli omicidi il34enne è stato fermato da un militare dell'Arma, residente a pochi metri di distanza dal luogo del delitto.
venerdì 2 marzo 2012
Sotto scorta per aver denunciato i familiari.
REGGIO CALABRIA - Ha denunciato padre e fratello dell'omicidio del suo amato e per questo, adesso, è costretta a vivere sotto protezione. Simona Napoli, appena 24 anni, con le sue dichiarazioni ha fatto arrestare il fratello Domenico di 22 anni, mentre il padre Antonio, di 53, è ricercato.
Entrambi sono accusati dell'omicidio e dell'occultamento del cadavere di di Fabrizio Pioli, l'elettrauto di 38 anni scomparso il 23 febbraio scorso da Gioia Tauro e col quale aveva una relazione extraconiugale. Il nome di Simona va così ad accostarsi a quello di Lea, Giuseppina e Maria Concetta. Donne calabresi con alle spalle storie diverse ma con un tratto comune: la violenza in cui state costrette a vivere di riflesso per il loro ambiente familiare.
Tre di loro, adesso, hanno un'altra peculiarità in comune, vivere sotto protezione dopo avere accusato i propri familiari dei reati più vari. Lea Garofalo e Maria Concetta Cacciola, invece, non ce l'hanno fatta. Sono rimaste vittime delle loro denunce. La prima uccisa e sciolta nell'acido, secondo l'accusa, dall'ex convivente e la seconda suicida per le pressioni subite. E' stata Simona a dire di avere visto l'amato, col quale aveva una relazione extraconiugale, litigare animatamente col padre che in mano aveva una pistola. Dichiarazioni che hanno dato il via ad accertamenti ed intercettazioni che si sono concluse con l'arresto di Domenico, mentre Antonio è irreperibile dal giorno della scomparsa di Fabrizio Pioli. Le ricerche al momento sono risultate vane. Sia di Antonio Napoli, che del corpo di Fabrizio.
Simona non ci ha pensato su due volte ed ha raccontato quello che aveva visto, sicura, in cuor suo, che Fabrizio non poteva che essere stato ucciso dal padre. Adesso è in una località protetta, vigilata dalle forze dell'ordine. La sua scelta l'ha costretta ad un distacco sofferto, quello dal figlio di 4 anni. Il piccolo è rimasto a casa, col marito della donna, del tutto estraneo alla vicenda, e con la nonna, moglie e madre dei due accusati del delitto.
Anche in questo Simona ha una storia non diversa da quella delle altre donne che l'hanno preceduta nella difficile scelta di dire basta con la propria famiglia. Lea Garofalo, per la Dda di Milano, è stata attirata in una trappola dall'ex proprio con la scusa di vedere la figlia. Giuseppina Pesce, figlia del boss di 'ndrangheta Salvatore, un nome che incute timore solo a pronunciarlo a Rosarno, da quando ha deciso di denunciare i malaffari dei suoi e' costretta a stare lontano dai tre figli che ancora vivono nel contesto familiare da cui lei è voluta fuggire. Una lontananza alla quale non ha resistito Maria Concetta Cacciola, cugina di Giuseppina, che ha rinunciato al programma di protezione per fare rientro a Rosarno proprio per rivedere i figli. Una scelta che le è risultata fatale. Non ha retto alle pressioni e si è uccisa ingerendo acido muriatico. Chi invece è decisa a continuare a lottare è Anna Maria Scarfò. Lei non ha denunciato i propri familiari ma il branco che all'età di 13 anni la violentò. Una scelta che ha provocato la reazione dei familiari dei violentatori che l'hanno minacciata ed ingiuriata. E adesso vive sotto scorta anche lei.
Entrambi sono accusati dell'omicidio e dell'occultamento del cadavere di di Fabrizio Pioli, l'elettrauto di 38 anni scomparso il 23 febbraio scorso da Gioia Tauro e col quale aveva una relazione extraconiugale. Il nome di Simona va così ad accostarsi a quello di Lea, Giuseppina e Maria Concetta. Donne calabresi con alle spalle storie diverse ma con un tratto comune: la violenza in cui state costrette a vivere di riflesso per il loro ambiente familiare.
Tre di loro, adesso, hanno un'altra peculiarità in comune, vivere sotto protezione dopo avere accusato i propri familiari dei reati più vari. Lea Garofalo e Maria Concetta Cacciola, invece, non ce l'hanno fatta. Sono rimaste vittime delle loro denunce. La prima uccisa e sciolta nell'acido, secondo l'accusa, dall'ex convivente e la seconda suicida per le pressioni subite. E' stata Simona a dire di avere visto l'amato, col quale aveva una relazione extraconiugale, litigare animatamente col padre che in mano aveva una pistola. Dichiarazioni che hanno dato il via ad accertamenti ed intercettazioni che si sono concluse con l'arresto di Domenico, mentre Antonio è irreperibile dal giorno della scomparsa di Fabrizio Pioli. Le ricerche al momento sono risultate vane. Sia di Antonio Napoli, che del corpo di Fabrizio.
Simona non ci ha pensato su due volte ed ha raccontato quello che aveva visto, sicura, in cuor suo, che Fabrizio non poteva che essere stato ucciso dal padre. Adesso è in una località protetta, vigilata dalle forze dell'ordine. La sua scelta l'ha costretta ad un distacco sofferto, quello dal figlio di 4 anni. Il piccolo è rimasto a casa, col marito della donna, del tutto estraneo alla vicenda, e con la nonna, moglie e madre dei due accusati del delitto.
Anche in questo Simona ha una storia non diversa da quella delle altre donne che l'hanno preceduta nella difficile scelta di dire basta con la propria famiglia. Lea Garofalo, per la Dda di Milano, è stata attirata in una trappola dall'ex proprio con la scusa di vedere la figlia. Giuseppina Pesce, figlia del boss di 'ndrangheta Salvatore, un nome che incute timore solo a pronunciarlo a Rosarno, da quando ha deciso di denunciare i malaffari dei suoi e' costretta a stare lontano dai tre figli che ancora vivono nel contesto familiare da cui lei è voluta fuggire. Una lontananza alla quale non ha resistito Maria Concetta Cacciola, cugina di Giuseppina, che ha rinunciato al programma di protezione per fare rientro a Rosarno proprio per rivedere i figli. Una scelta che le è risultata fatale. Non ha retto alle pressioni e si è uccisa ingerendo acido muriatico. Chi invece è decisa a continuare a lottare è Anna Maria Scarfò. Lei non ha denunciato i propri familiari ma il branco che all'età di 13 anni la violentò. Una scelta che ha provocato la reazione dei familiari dei violentatori che l'hanno minacciata ed ingiuriata. E adesso vive sotto scorta anche lei.
Indagati il marito Roberta Ragusa
Pisa, 2 marzo 2012 - Il marito di Roberta Ragusa, scomparsa dalle campagne di Gello tra il 13 e il 14 gennaio, è indagato dalla Procura di Pisa in merito appunto alla sparizione della donna. Uxoricidio dunque sembra l'ipotesi di reato. Questa dunque la strada che hanno imboccato gli inquirenti in un giallo che sembra davvero senza fine a ormai un mese e mezzo dalla scomparsa della donna, 44 anni, contitolare di una scuola guida, moglie e madre di due figli.
Antonio Logli, marito di Roberta Ragusa, risulta dunque nel registro degli indagati. Si attendono intanto i prossimi passi della Procura. Mentre un'accurata indagine in casa della donna e alla sua autoscuola è stato eseguito dai carabinieri del Ris. Nulla è stato lasciato al caso e i militari, con le classiche tute bianche, aiutati anche da tre cani addestrati per questo tipo di indagini, si sono trattenuti a lungo nell'abitazione.
Oltre alla abitazione e all'autoscuola hanno ispezionato anche un magazzino e tre automobili: quella della donna, quella del marito, una terza vettura in dotazione all'autoscuola.
Per cinque ore, dalle 19 alle 24 i militari — biologi, tossicologi, chimici, fisici altamente specializzati — hanno eseguito una serie di accertamenti richiesti dal pm Mantovani.
L'avvocato Roberto Cavani difenderà il marito della donna in questa indagine. Il legale ha affermato che si prenderà un paio di giorni di tempo per studiare le carte e quindi mettere in atto la strategia difensiva. Il giallo intanto continua.
Antonio Logli, marito di Roberta Ragusa, risulta dunque nel registro degli indagati. Si attendono intanto i prossimi passi della Procura. Mentre un'accurata indagine in casa della donna e alla sua autoscuola è stato eseguito dai carabinieri del Ris. Nulla è stato lasciato al caso e i militari, con le classiche tute bianche, aiutati anche da tre cani addestrati per questo tipo di indagini, si sono trattenuti a lungo nell'abitazione.
Oltre alla abitazione e all'autoscuola hanno ispezionato anche un magazzino e tre automobili: quella della donna, quella del marito, una terza vettura in dotazione all'autoscuola.
Per cinque ore, dalle 19 alle 24 i militari — biologi, tossicologi, chimici, fisici altamente specializzati — hanno eseguito una serie di accertamenti richiesti dal pm Mantovani.
L'avvocato Roberto Cavani difenderà il marito della donna in questa indagine. Il legale ha affermato che si prenderà un paio di giorni di tempo per studiare le carte e quindi mettere in atto la strategia difensiva. Il giallo intanto continua.
PUNTATA SULL'OMICIDIO STRADALE CANALE CINQUE 1 MARZO
Intervento del senatore Stefano Pedica a mettino5 del 1 Marzo 2012
http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/287531/giovedi-1%5E-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/287531/giovedi-1%5E-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1
http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/287531/giovedi-1%5E-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1http://www.video.mediaset.it/video/mattino_5/full/287531/giovedi-1%5E-marzo.html#tf-s1-c1-o1-p1
giovedì 1 marzo 2012
Arrestato il ragazzo colpevole della strage di Terracina
***AGGIORNAMENTO***Il 40enne che domenica, in stato di ebbrezza cinque volte oltre il limite, ha provocato un incidente in via Pantani da Basso a Borgo Hermada in cui è deceduto il 34enne Raffaele Vertolomo, è stato arrestato in serata in seguito a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Tribunale di Latina. Nell’incidente la compagna dell’uomo, al quinto mese di gravidanza, ha perso la propria bimba.
Incidente mortale alle 18.30 in via Pantani da Basso a Borgo Hermada di Terracina. A scontrarsi frontalmente due autovetture: una Bmw scura con a bordo una coppia di romeni, uomo e donna, trovato lui alla guida con un tasso alcolico superiore alla normativa stradale, e un’altra auto, una Smart rossa, con a bordo una coppia di trentenni del posto. L’auto dei due stranieri percorreva la strada in direzione Terracina – Borgo Hermada quando, all’altezza di una curva, il conducente ne ha perso il controllo andandosi a schiantare prima sul passamano che delimita la pista ciclabile per poi rimbalzare sull’altra corsia proprio mente sopraggiungeva la Smart. Il conducente della Smart, Raffaele Vertolomo, 35enne di Borgo Hermada ma residente a Terracina, è deceduto all’arrivo presso l’ospedale Fiorini di Terracina. La compagna, Margherita M. 28 anni, incinta di otto mesi ha perso il figlio per le ferite riportate ed è attualmente ricoverata all’ospedale Goretti di Latina. Anche uno dei due romeni della Bmw rimasto ferito nell’impatto è ricoverato in ospedale. Sul posto la Polizia Stradale di Terracina, i Carabinieri e i Vigili del Fuoco della squadra
Incidente mortale alle 18.30 in via Pantani da Basso a Borgo Hermada di Terracina. A scontrarsi frontalmente due autovetture: una Bmw scura con a bordo una coppia di romeni, uomo e donna, trovato lui alla guida con un tasso alcolico superiore alla normativa stradale, e un’altra auto, una Smart rossa, con a bordo una coppia di trentenni del posto. L’auto dei due stranieri percorreva la strada in direzione Terracina – Borgo Hermada quando, all’altezza di una curva, il conducente ne ha perso il controllo andandosi a schiantare prima sul passamano che delimita la pista ciclabile per poi rimbalzare sull’altra corsia proprio mente sopraggiungeva la Smart. Il conducente della Smart, Raffaele Vertolomo, 35enne di Borgo Hermada ma residente a Terracina, è deceduto all’arrivo presso l’ospedale Fiorini di Terracina. La compagna, Margherita M. 28 anni, incinta di otto mesi ha perso il figlio per le ferite riportate ed è attualmente ricoverata all’ospedale Goretti di Latina. Anche uno dei due romeni della Bmw rimasto ferito nell’impatto è ricoverato in ospedale. Sul posto la Polizia Stradale di Terracina, i Carabinieri e i Vigili del Fuoco della squadra
Da oggi i figli dei separati potranno avere un altro cognome
ROMA – Il Consiglio dei ministri ha appena varato una nuova norma che rende più semplice cambiare cognome. Chi ha avuto la sventura di chiamarsi Della Morte o Pisellino potrà più semplicemente scegliere un nuovo nome. Ma il “diavolo”, e che diavolo stavolta, si nasconde nei dettagli. E un dettaglio grosso e storto come una casa sbilenca è il fatto che la norma in questione contiene anche dell’altro: stabilisce che le donne vedove o divorziate potranno aggiungere al nome dei figli quello del nuovo marito. Lo segnala un articolo firmato da Isabella Bossi Fedrigotti sul Corriere della Sera di domenica 26 febbraio ed è singolare che solo l’attenta giornalista se ne sia accorta.
Dunque cognome del secondo marito da aggiungere e quello dei figli per le donne vedove e/o divorziate. Se vorranno, potranno farlo. Bene per le prime, ma le seconde? E soprattutto, i padri divorziati che vedranno cambiare il cognome dei propri figli? Se non esattamente di esproprio si tratta, poco ci manca. Esproprio morale di paternità di sicuro. Se da un lato infatti si capisce la ratio per cui chi è rimasta vedova possa sentire la necessità di “normalizzare” il nuovo status familiare, meno si comprende per le seconde. Ma soprattutto, la nuova normativa, sembra non tenere in nessun conto i padri, almeno quelli ancora in vita. Mettere sullo stesso piano chi per sua sfortuna non c’è più e chi per varie ragioni di vita si è separato non è elegante né tantomeno giusto o civile.
Una donna rimasta sola che si rifà una vita con un nuovo uomo, e decide di includere maggiormente, facendoli sentire parte della nuova famiglia, i figli di primo letto aggiungendo al loro nome il cognome del nuovo marito, è una cosa comprensibile e anche un bene, probabilmente, per i figli stessi. Inoltre il padre naturale, passato a miglior vita, difficilmente potrebbe avere qualcosa da obiettare, e anche se l’avesse difficilmente avrebbe i mezzi per farlo.
Altro discorso è, ovviamente, anche se il testo della norma sembra non percepire quest’ovvietà, per i padri divorziati. In questo caso nessuno è passato a miglior vita e aggiungere il cognome del nuovo marito della mamma a quello originario potrebbe sembrare, anzi sarebbe di certo, un affronto, un insulto, uno sgarbo, un dispetto al vero papà dei piccoli. Certo, esisterà il caso in cui il padre naturale sia un violento, un pessimo padre, e per la madre e i figli allontanarsene, anche cambiando cognome, sia non solo sano ma persino auspicabile. Ma esisteranno anche situazioni in cui il padre biologico non sia affatto un pessimo padre, e privarlo anche della potestà nominativa sulla prole non sia né sano né auspicabile.
E potrebbe persino verificarsi la fattispecie in cui la madre tradisce il padre, lo lascia, lo priva dei figli e anzi aggiunge al loro nome quello dell’amante divenuto nel frattempo nuovo marito. Nonostante l’ampio ricorso all’affido condiviso, quando due genitori si separano, quasi sempre sono i padri a subire le conseguenze economiche e, cosa più importante, a vedere drasticamente ridotta la finestra di tempo che possono passare con i figli che, nella stragrande maggioranza dei casi, restano con la mamma. La nuova norma sul cognome certo, dal punto di vista pratico, non aggrava la condizione di questi padri, ma ne peggiora senza dubbio quella emotiva. Oltre a vedersi allontananti nella quotidianità dai figli, con questa novità, se ne vedono allontanati anche legalmente. Espropriati, di fatto, di un pezzo di vita.
Dunque cognome del secondo marito da aggiungere e quello dei figli per le donne vedove e/o divorziate. Se vorranno, potranno farlo. Bene per le prime, ma le seconde? E soprattutto, i padri divorziati che vedranno cambiare il cognome dei propri figli? Se non esattamente di esproprio si tratta, poco ci manca. Esproprio morale di paternità di sicuro. Se da un lato infatti si capisce la ratio per cui chi è rimasta vedova possa sentire la necessità di “normalizzare” il nuovo status familiare, meno si comprende per le seconde. Ma soprattutto, la nuova normativa, sembra non tenere in nessun conto i padri, almeno quelli ancora in vita. Mettere sullo stesso piano chi per sua sfortuna non c’è più e chi per varie ragioni di vita si è separato non è elegante né tantomeno giusto o civile.
Una donna rimasta sola che si rifà una vita con un nuovo uomo, e decide di includere maggiormente, facendoli sentire parte della nuova famiglia, i figli di primo letto aggiungendo al loro nome il cognome del nuovo marito, è una cosa comprensibile e anche un bene, probabilmente, per i figli stessi. Inoltre il padre naturale, passato a miglior vita, difficilmente potrebbe avere qualcosa da obiettare, e anche se l’avesse difficilmente avrebbe i mezzi per farlo.
Altro discorso è, ovviamente, anche se il testo della norma sembra non percepire quest’ovvietà, per i padri divorziati. In questo caso nessuno è passato a miglior vita e aggiungere il cognome del nuovo marito della mamma a quello originario potrebbe sembrare, anzi sarebbe di certo, un affronto, un insulto, uno sgarbo, un dispetto al vero papà dei piccoli. Certo, esisterà il caso in cui il padre naturale sia un violento, un pessimo padre, e per la madre e i figli allontanarsene, anche cambiando cognome, sia non solo sano ma persino auspicabile. Ma esisteranno anche situazioni in cui il padre biologico non sia affatto un pessimo padre, e privarlo anche della potestà nominativa sulla prole non sia né sano né auspicabile.
E potrebbe persino verificarsi la fattispecie in cui la madre tradisce il padre, lo lascia, lo priva dei figli e anzi aggiunge al loro nome quello dell’amante divenuto nel frattempo nuovo marito. Nonostante l’ampio ricorso all’affido condiviso, quando due genitori si separano, quasi sempre sono i padri a subire le conseguenze economiche e, cosa più importante, a vedere drasticamente ridotta la finestra di tempo che possono passare con i figli che, nella stragrande maggioranza dei casi, restano con la mamma. La nuova norma sul cognome certo, dal punto di vista pratico, non aggrava la condizione di questi padri, ma ne peggiora senza dubbio quella emotiva. Oltre a vedersi allontananti nella quotidianità dai figli, con questa novità, se ne vedono allontanati anche legalmente. Espropriati, di fatto, di un pezzo di vita.
Iscriviti a:
Post (Atom)