domenica 27 novembre 2011

Roberta Bruzzone e il caso di Vai Poma

Una vicenda che, dopo tanti anni, sembra arricchirsi di nuovi elementi che contribuiscono ad infittire un mistero solo superficialmente svelato, con una persona già condannata per omicidio e che invece potrebbe essere innocente. O quanto meno, non responsabile diretto della morte di Simonetta Cesaroni, uccisa con 27 coltellate il 27 agostro 1990, in uno studio professionale, dove lavorava, appunto in via Poma, a Roma. Per questo delitto, Raniero Busco, all'epoca fidanzato della vittima, è stato condannato a 24 anni di carcere con una sentenza in primo grado. Un mistero che va avanti da 21 anni, fra tracce di sangue mai analizzate, prove perse nel corso degli anni, testimoni scomparsi.
Il 24 novembre è cominciato il processo di appello, e fin dalle prime battute si annuncia come un procedimento difficile, teso, nel quale potrebbero esserci decisivi colpi di scena.
La criminologa Roberta Bruzzone, volto ormai noto per essersi interessata anche ad altri casi, soprattutto quello di Avetrana (Sarah Scazzi), spiega che nel caso di via Poma, le incongruenze sarebbero numerose, come anche elementi dati per scontati e invece assolutamente insiegabili sotto l'aspetto scientifico.
La dottoressa Bruzzone fa parte della consulenza difensiva di Raniero Busco, e a breve, nel gennaio 2012, pubblicherà un libro dal titolo "Chi è l'assassino? Diario di una criminologa" nel quale vengono analizzati numerosi aspetti dei più eclatanti casi degli ultimi anni. Nello specifico caso del delitto Cesaroni, uno dei punti oscuri sarebbero le tracce di sangue sulle scarpe della vittima, incompatibili con il luogo del ritrovamento delle stesse. Le indagini hanno stabilito che le scarpe se le sarebbe tolte la stessa Simonetta, la quale avrebbe poi camminato senza nella stanza dov'è morta. Il movente? Il rifiuto di un rapporto sessuale nell'ufficio, di fronte al quale Busco avrebbe perso il controllo. La prova: lo sporco rinvenuto sotto le calze della vittima. Solo che i rilievi della polizia dopo il delitto dicono che le calze di Simonetta erano pulite. L'unica spiegazione, secondo la criminologa, è la cattiva conservazione dei reperti, messi da una parte per ben 14 anni prima di essere nuovamente analizzati. E inoltre, il segno di un morso sul seno della vittima, principale prova che ha incastrato Raniero Busco. Segno assolutamente non riconducibile al momento dell'omicidio, o per lo meno non con tutta quella sicurezza che un caso del genere richiede. Inoltre, un elemento determinante, sono le tracce di sangue non compatibili con quello di Busco, rinvenute sulla maniglia della porta della stanza del delitto, e sulla finestra. Tracce catalogate di Gruppo A, mentre sia la vittima che l'accusato hanno sangue di Gruppo 0. Il medico legale, per altro mai convocato durante il procedimento di primo grado, afferma nel suo rapporto che il sangue rinvenuto è di una terza persona che certamente si è ferita nel colpire ripetutamente Simonetta Cesaroni. Prova certa che  nella stanza del delitto ci fossero due persone ad uccidere, e che una si sia ferita, la quale non è Raniero Busco. L'ufficio in cui è avvenuto l'omicidio era del superiore diretto di Simonetta, Corrado Carboni, direttore del Comitato Regionale Associazione Italiana Alberghi della Gioventù, dove passavano ogni giorno numerose persone, come è evidenziato dal registro delle presenze. Fatto che suggerisce un ipotesi precisa: se Simonetta e Raniero avessero voluto appartarsi, lo avebbero fatto nell'ufficio della vittima, molto più isolato e certo meno frequentato. E che dire poi delle chiavi dell'ufficio, che Simonetta aveva nella borsa e che sono state rubate, lasciando la porta aperta?
Da non dimenticare, la figura, tutt'oggi ambigua, del portiere, Pietrino Vanacore, in un primo tempo accusato del delitto e morto pochi giorni dopo avere testimoniato, nel 2010? Una morte registrata come suicidio, ma sulla quale gravano pesanti dubbi per le misteriose circostanze in cui è avvenuta. Secondo la crimonologa, Vanacore sapeva molto più di ciò che ha rivelato ai magistrati, ma si è portato i suoi segreti nella tomba. 
Che il movente del delitto sia stato il rifiuto a concedersi a qualcuno pare più che plausibile, ma a chi resta l'elemento oscuro. Lo dicono molti segni rinvenuti sul corpo, come le ferite al basso ventre, prove inequivocabili. L'assassino è qualcuno, probabilmente non troppo giovane, data la lucidità fredda dei movimenti e della dinamica, che poteva entrare e uscire senza essere troppo notato. I caso, una volta passati in rassegna tutti questi elementi, sembra tutt'altro che chiuso

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