giovedì 28 agosto 2014

Quei bravi ragazzi che ammazzano le donne. Di Marina Terragni

25 agosto 2014CRONACA, DONNE E UOMINI, FEMMINICIDIO, QUESTIONE MASCHILE “Un ragazzo d’oro”, “un ragazzo dolce e uno zio premuroso”, “una persona eccezionale”. Che un bel pomeriggio di domenica, in una villa dell’Eur, Roma, aggredisce e decapita una donna (colf) ucraina: di lei, carne da lavoro, carne da macello, viene riferito a malapena il nome, Oksana Martseniuk, oltre al fatto che era “bella, bionda, occhi chiari”, il che ne fa una vittima predestinata. Di lui, Federico Leonelli, un omone di due metri, si spiega anche che era depresso perché gli era morta la compagna. E vai ovunque con il “raptus”, parola totalmente priva di senso che dovrebbe essere abolita dal lessico giornalistico: perché insegna alla gente che chiunque di noi, preferibilmente maschio, può essere “rapito” (questo il significato letterale) da un demone che improvvisamente si impossessa della nostra volontà e ci fa agire diabolicamente. Il “raptus” è l’altra faccia del “bravo ragazzo“: buona parte degli 8 assassini di donne e di bambini delle ultimissime settimane sono stati definiti “bravi ragazzi”, “padri amorosi”, “persone perbene”. Mostruosamente, gran parte dei media dà pubblicità a questo modello, preciso come un algoritmo, del brav’uomo che di colpo, un pomeriggio d’estate, squarta una donna o affonda una lama nel corpicino di una bimbetta di un anno e mezzo. Con il coro dei vicini e il giornalista corifeo di turno che come in una tragedia greca cantano il “bravo ragazzo” e le sue gesta, come se la vittima in fondo fosse lui. Cercando le sue ragioni e laddove possibile, solidarizzando con lui (“era depresso”, “lei voleva lasciarlo”). E dimenticano le vittime vere, non dicendo quasi nulla di loro se non che erano agnelli perfetti, teneri e biondi, carne indistinta per il sacrificio. E questo nonostante le donne che si occupano da decenni di violenza si siano sgolate a dire che i segni premonitori ci sono sempre, che un femminicidio non nasce mai dal nulla, ma è preceduto da una lunga teoria di violenza, sorda o tenuta muta. Così anche nel caso di Federico Leonelli salta fuori che il bravo ragazzo era piuttosto fumantino, che aveva una certa ossessione per le armi da taglio, e a quanto pare aveva menato sorella e madre (ma la sorella non dice una parola). Insomma, un pomeriggio di domenica, in una bella villa all’Eur, un bravo ragazzo ci prova con la “colf ucraina bionda e bella”. La quale inaspettatamente -il rifiuto da parte di una donna, specie se desiderabile, continua a essere un fattore imprevisto, a meno che la donna non intenda essere canonizzata- gli dice di no. Scatenando la furia di lui, furia dell’essere rifiutati che ognuna di noi ha conosciuto, almeno una volta nella vita, benché in forma non fatale visto che siamo qui a raccontarcelo. Dunque, lui le salta addosso e la ammazza. Poi -io il film lo vedo così- il bravo ragazzo comincia freddamente a pensare come liberarsi del fagotto di carne. Più comodo farlo a pezzi. Allora si infila una tuta mimetica e una maschera, perché l’operazione squartamento è piuttosto sporchevole. Impugna una mannaia e comincia dalla testa, come si fa con un pollo. Purtroppo la polizia interrompe il lavoro, chiamata dai vicini di casa allarmati dalle urla della donna. Lui tenta disperatamente la fuga, brandendo la mannaia. Gli uomini delle forze dell’ordine sparano -qui la dinamica andrà chiarita- e l’assassino viene ucciso. Ecco, per esempio: ma se i direttori dei giornali e delle testate televisive e radiofoniche, che sono quasi tutti uomini, provassero a cambiare prospettiva? Se per esempio partissero da sé, senza delegare alle donne di sbrogliare la matassa, e proprio da quell’esperienza del rifiuto che ognuno di loro avrà sperimentato, e dai sentimenti che hanno provato? Se ci scrivessero un editoriale di proprio pugno, o lo commissionassero al più brillante dei propri opinionisti? Se assumessero fino in fondo la questione maschile? Perché il no di una donna -o il sì di quella donna a qualcos’altro, anche solo un sì a se stessa e al proprio desiderio-, salvo eccezioni è la costante dei femminicidi. Quei bravi ragazzi, quei goodfellas che picchiano e violentano e perseguitano e uccidono le mogli, le compagne, i figli e le prede occasionali, stanno quasi sempre reagendo a un’esclusione che vivono come intollerabile. Se per una volta cambiassimo algoritmo, se provassimo a scandagliare qui, in questo passaggio comunissimo e delicatissimo -l’esperienza maschile del no femminile-, se cercassimo di capire come in queste circostanze si produce, nei soggetti più deboli, una vera e propria frana psichica, ecco: non faremmo davvero un passo avanti? Non contribuiremmo a salvare la vita di tante donne, vittime designate, prima di essere costretti a parlare di loro in cronaca? Aggiornamento 27 agosto: intanto l’autopsia di Oksana ha accertato che la decapitazione è avvenuta dopo la morte. Quindi prima è stata brutalmente uccisa a coltellate, quindi è iniziato lo smembramento del suo corpo. TAG: delitto dell'eur, Federico Leonelli, Oksana Martseniuk, raptus, rifiuto

lunedì 18 agosto 2014

Basta chiamarlo Raptus.

Luca Giustini, 34 anni, macchinista, ha accoltellato a morte la figlioletta di soli 18 mesi davanti alla madre e ai nonni. La tragedia è avvenuta in un appartamento di Collemarino, ad Ancona. L’uomo è stato arrestato. Subito dopo il delitto si è parlato di un «raptus».«Ci avrei giurato»Cosa?«Che anche questa volta si sarebbe usato il termine “raptus”».Succede spesso.«Troppo spesso, direi. Sotto il cappello del raptus, o alcune volte della follia, si mette la violenza inaudita, quella imprevista, impulsiva. E non si considera mai che, guarda caso, quella violenza ha come oggetto i più fragili, i deboli, le persone indifese e quindi le più esposte. Lei ha mai sentito dire di qualcuno colto da raptus che ha assalito un uomo grande e grosso?».Claudio Mencacci è l’ex presidente della Società italiana di psichiatria oltre che il direttore del Dipartimento di Neuroscienze del Fatebenefratelli di Milano. E dice che «noi, in psichiatria, tendiamo a escludere l’esistenza del raptus».Sta dicendo che è un termine senza senso psichiatrico?«Esattamente. Serve molto a chi fa le perizie per giustificare le azioni di grande violenza e attenuare la gravità del fatto e la colpa di chi le commette. Servirebbe invece un impegno culturale e civile perché questo non succedesse. Per non giustificare mai la prevaricazione, la prepotenza, la violenza esplosiva e cruenta. Perché giustificare in un certo senso è come avallare l’idea che sui più deboli si possa accanire la violenza».Perché chiamare in causa la follia davanti alle cronache più nere?«Perché si vedono le cose dal fondo e non si riflette su ciò che c’è dietro. Bisognerebbe imparare a capire che ci sono individui che covano malvagità, crudeltà, cattiveria. Che quando accade un fatto di violenza apparentemente improvvisa c’è sempre una spiegazione, un motivo che si è costruito nel tempo. Non è mai un fulmine a ciel sereno e tendere a giustificare non aiuta nemmeno a cogliere i segnali di un eventuale pericolo».Pensa a un caso in particolare?«Penso alle donne che muoiono uccise dai propri partner perché scambiano per amore quel che amore non è. Oppure al padre di Motta Visconti che ha sterminato la famiglia: tutti a dire che era la persona migliore del mondo ma la famiglia per lui era diventata un peso insopportabile e, come si fa con i pesi, lui l’ha eliminata. È la banalità del male. E poi ci sono anche le statistiche che ci aiutano a capire».Quali statistiche?«Per esempio quelle che ci dicono che gli uomini che fanno del male ai propri figli hanno tendenzialmente fra i 30 e i 45 anni e utilizzano quasi sempre un coltello o una pistola. A differenza delle donne che commettono invece infanticidi usando oggetti casuali, a volte per annegamento o soffocamento».Quali sono le condizioni che possono aumentare il rischio?«L’alcol e la droga possono di sicuro aumentare l’impulsività, ma c’è anche l’odio che si accumula e cresce nell’individuo in modo latente per poi esplodere».Nessuno pensa mai che fatti gravi come questa bimba uccisa possano capitare nella propria famiglia…«È così. Spesso pensiamo che il seme del male cresca a casa degli altri perché cerchiamo di espellerlo dai luoghi e dalle persone più care. E invece il male può essere ovunque, la cattiveria alberga anche a un passo da noi. Riconoscerla mentre cresce può voler dire salvarsi».

giovedì 14 agosto 2014

Le donne sono vittime consenzienti? Di Maria Barbarisi

Le donne sono vittime consenzienti? E' possibile parlare di una "propensione alla vittimizzazione" che alcune donne presenterebbero?. In passato si parlava di "vis grata puellis" in particolare riguardo la violenza sessuale, o di "destino anatomico" che impone l'umiliazione alla donna. Ma torniamo ai giorni nostri: dai dati dei centri antiviolenza italiani emergerebbe che le donne che si sono rivolte a queste strutture avevano subito violenze reiterate in media dai 6 anni e, inoltre, la ricerca Istat di vittimizzazione del 2006 ha acclarato che le donne non hanno denunciato la violenza da parte del partner nel 93% dei casi. A parte la paura delle ritorsioni e gli ovvi problemi pratici, quante donne se lasciassero il partner non saprebbero dove andare, ne' come mantenere i figli e se stesse? Se la socializzazione maschile e quella femminile sono diverse, non stupisce l'interiorizzazione delle differenze di genere anche per le donne, e questo potrebbe in parte spiegare il perche' le donne non si ribellino o addirittura talvolta colludono con gli oppressori. Attraverso un'educazione trasmessa magari proprio dalle madri, che crescono i figli maschi in modo che siano forti, coraggiosi, che non piangano, e figlie come sempre dolci, gentili, comprensive e disponibili verso i bisogni altrui: le donne cosi' si forgiano un " me stessa ideale" che impone loro la mansuetudine la rassegnazione e l'oblativita'. Non bisogna trascurare un'altro aspetto importante e che riguarda gli abusi subiti dalle donne da bambine o spettatrici di abusi da parte del padre verso la loro madre, che poi da adulte scelgono a loro volta partner violenti, proprio perche' quello e' il modello che hanno conosciuto. Non e' un cado che nelle donne vittime dei partner e' stata riscontrata la pregressa violenza fisica e sessuale ricevuta nelle famiglie di origine. Inoltre, la violenza subita incide negativamente sull'autostima, al punto da scegliere partner poco raccomandabili: per queste donne la violenza e' una fatalita', pensano che sia il loro destino e che non ci sia altra soluzione. Essendo state rifiutate o maltrattate nell'infanzia, pensano che potranno amare solo uomini difficili. Altre non avendo ricevuto alcuna sicurezza affettiva dai genitori, pensano di non essere degne d'amore e saranno pronte a qualunque rinuncia per aver diritto ad un pi' di felicita'. I fattori di rischio per l'aggressivita' maschile e quelli per la vittimizzazione femminile sono spesso speculari: cosi, se uomini che condividono la sottocultura della superiorita' maschile saranno piu' inclini a essere partner abusanti, donne che ritengono che il loro ruolo all'interno della coppia debba essere di subordinazione, saranno maggiormente portate a subirla. Tra le dinamiche individuate nella "passivita'" delle vittime di fronte ad aggressioni ripetute, e' anche da citate l'i ncapacita' appresa e cioe', le donne che sono ripetutamente esposte ad una punizione da cui non hanno via di fuga, sviluppano la tendenza a non assumere il controllo del proprio comportamento anche quando tale controllo sarebbe possibile. Infine, e non meno importante, fra i motivi per cui alcune donne non sanno sottrarsi alla violenza c'e' quello banalissimo, della mancanza di risorse e di alternative e gli abusanti lo sanno bene, al punto che l'isolamento e la violenza economica sono forme di abuso abitualmente praticate.

martedì 12 agosto 2014

Stalking. Come riconoscerlo. Maria Barbarisi

Stalking: i narcisisti; insofferenti alle critiche e indifferenti alle esigenze altrui, sono inclini a sfruttare gli altri, sono megalomani, hanno la tendenza ad attribuire agli altri la responsabilita' di quanto di negativo capita loro, e in compenso a somministrare lezioni di morale. Costoro si nutrono dello sguardo altrui, e piu' che di amore necessitano di ammirazione e di attenzione continui: " nella coppia, sono dominatori e attraenti, e cercano di sottomettere e isolare la compagna...Il narcisista cerca fusione, ha bisogno di fagocitare l'altro, di farne uno specchio che rifletta soltanto un'immagine di se'". Stalking: 2) gli antisociali o psicopatici; per costoro si delinea un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri, di incapacita' di conformarsi alle norme sociali per cio' che concerne il comportamento legale; di disonesta', come indicato dal mentire, usare falsi nomi, o truffare gli altri ripetutamente, per profitto o per piacere personale; impulsivita' o incapacita' di pianificare; irritabilita' e aggressivita', come indicato da scontri o assalti fisici ripetuti; inosservanza spericolata della sicurezza propria e degli altri; irresponsabilita' abituale, come indicato dalla ripetuta incapacita' di sostenere un'attivita' lavorativa continuativa, o di far fronte a obblighi finanziari, mancanza di rimorso, come indicato dall'essere indifferenti o dal razionalizzare dopo aver danneggiato, maltrattato o derubato un altro. E' chiaro che non si tratta di compagni raccomandabili, ed e' altrettanto chiaro che fra costoro troveremo i piu' pericolosi fra i partner violenti, fino agli omicidi. Stalking 3): i borderline; soffrono di un incessante senso di vuoto interiore, sono irritabili, suscettibili, soggetti ad ondate di rabbia gelida risvegliate soprattutto dalle frustrazioni e dai rifiuti, dai veri o presunti affronti. Sono ambivalenti rispetto alla dipendenza: ne soffrono ma la temoni, sicche' reagiscono con violenza sia alle mosse di avvicinamento sia, e piu', alle minacce di abbandono. Fanno ricorso ad alcol e droghe o a comportamenti autolesivi per ridurre la tensione emotiva. Alternativamente furiosi o affascinanti. Stalking 4): i perversi narcisisti; sono piu' controllati.....e controllori, ma il controllo non e' esercitato attraverso la violenza brutale, bensi' per mezzo della manipolazione, del plagio, della menzogna. Nei perversi e' l'invidia a guidare la scelta del partner. Si nutrono dell'energia di quelli che subiscono il loro fascino. E' per questo che per lo piu' scelgono le loro vittime tra le persone piene di vita, come e cercassero di accaparrarsi un po della loro forza. Oppure possono scegliere la propria "preda" in funzione dei vantaggi materiali che puo' procurare. Il partner non esiste come persona, ma come spalla. Data l'elettiva capacita' manipolatoria, non sono indicati per interventi di coppia o di mediazione. Stalking 5): le personalita' paranoiche; hanno una visione rigida del mondo in generale, e dei ruoli dell'uomo e della donna in particolare, fino ad essere veri e propri tiranni domestici: la donna deve essere sottomessa, non deve prendere decisioni, ne' essere autonoma, amministrare denaro, coltivare interessi, tanto meno frequentare altre persone, magari neppure i propri familiari. Costantemente sospettosi e diffidenti, temono complotti ai loro danni anche da parte del coniuge, e la loro gelosia sfocia talora nella patologia vera e propria. La diffidenza mette in moto il meccanismo della profezia che si autoadempie: il loro atteggiamento allontana la partner, cosicche' essi si sentono autorizzati a ritenersi nel giusto lamentando il disamore di questa. Se minacciati di abbandono o abbandonati, nella migliore delle ipotesi agiranno comportamenti di stalking, nella peggiore pero' giungeranno all'uxoricidio.