Mamma coraggio «Così vinsi la Piovra»
Angela Casella: «Ho dato la sveglia allo Stato»
SANTA MARGHERITA LIGURE - La donna che ha affrontato a mani nude la ' ndrangheta, ha paura di una cosa sola. «Delle iniezioni. Ma con un po' di pomata passa anche quella...». Le giornate di Angela Casella oggi si dividono tra le partite a burraco con le amiche ai bagni di Santa Margherita, la cura dei nipotini, le visite della cugina Giusy. Ma esattamente vent' anni fa questa donna pavese era incatenata sotto il sole nelle piazze dei paesini dell' Aspromonte, tenuta alla larga da tutti, osteggiata. Mai prima di allora chiunque non appartenesse alle forze dell' ordine o alla magistratura aveva osato sfidare così apertamente la Piovra. Angela Casella lo fece platealmente per reclamare la liberazione di suo figlio Cesare, allora ventenne, che la ' ndrangheta continuava a tenere prigioniero nonostante il pagamento di un miliardo di riscatto. Sei mesi dopo quella sfida Cesare fu liberato, senza che fosse necessario versare una lira in più. «Riuscii a puntare gli occhi di tutto il mondo addosso all' anonima sequestri - ricorda oggi "mamma Coraggio", come fu soprannominata - ed è per questo che la ebbi vinta. La ' ndrangheta fu sconfitta con le sue stesse armi, quelle della paura». Vent' anni esatti sono passati da quel gesto clamoroso. Cosa è rimasto nella vita di Angela Casella e che segno hanno lasciato quelle catene esibite davanti a tutti? «Ho scelto di non trasformarmi in una testimone perpetua dell' antimafia, di tornare a una dimensione privata e defilata perché non volevo che Cesare e la mia famiglia continuassero a vivere in eterno come i reduci di un rapimento. Una volta vinta la nostra battaglia, una volta passata l' inevitabile curiosità dei mass media, abbiamo voluto rifarci una vita normale. Venni solo candidata dalla Dc nel ' 92 in Calabria. Non fui eletta». La lotta al crimine organizzato ieri e oggi: che cosa è cambiato, visto con gli occhi di "mamma Coraggio"? «Se adesso una famiglia, un imprenditore, chi volete voi, rimane vittima di un grave reato, gli studenti delle scuole fanno una manifestazione, il sindaco scende in piazza con la fascia tricolore, manca poco che arrivi anche Napolitano... Volete che vi racconti cosa successe a me quando mi incatenai sulle piazze di Locri e di San Luca? Per ore nessuno osò avvicinarsi, l' albergo in cui alloggiavo fu dato alle fiamme, al bar a cui andavo per prendere un caffè mi veniva chiesto di andarmene perché davo fastidio. A un parroco di Locri, la domenica, chiesi che durante la messa invitasse a pregare per la liberazione di Cesare. Mi disse no, perché col mio gesto stavo criminalizzando tutta la Calabria...» Molti sostengono che verso mafia, camorra, ' ndrangheta, lo Stato abbia abbassato la guardia. Hanno ragione? «Insomma... io e la mia famiglia fummo lasciati completamente soli. Oggi la legge è cambiata, le istituzioni hanno un ruolo decisivo in caso di trattative nei rapimenti che non a caso sono quasi del tutto scomparsi. Credo, in questo, che c' entri anche il fatto di essermi incatenata sulle piazze». Come maturò la decisione di andare in Calabria? «Nel dettaglio nemmeno io sono più in grado di ricordarlo. Mi viene da dire solo che fu una mossa dettata dalla disperazione e che giorno per giorno improvvisavo i miei spostamenti, senza un piano preordinato. Mesi prima avevamo pagato il riscatto, ma Cesare restava ostaggio della banda. I rapitori avevano alzato la loro richiesta, si erano fatti più feroci al telefono. Ma poi seguivano settimane e settimane di silenzio che per chi vive un dramma come il nostro sono la cosa più angosciosa. Credo comunque che quella fu una buona idea: lo Stato si rese conto di quel che stava succedendo; mi dissero che gli inquirenti seppero che mi ero incatenata solo vedendo la tv. L' allora capo della polizia, il dottor Parisi, mi ringraziò molto per quel che avevo fatto». La sicurezza, il timore di subire reati sono oggi un tema politico centrale. Sono paure giustificate? «La paura è frutto dell' ignoranza, va vinta. Ma le persone vanno aiutate. Io oggi vivo libera e senza più paura». Claudio Del Frate cdelfrate@corriere.it La storia Il SEQUESTRO Il 18 gennaio 1988 a Pavia viene rapito Cesare Casella (sotto in una foto recente), 19 anni, figlio di un concessionario d' auto. A marzo viene pagato 1 miliardo di riscatto, senza esito. LA SFIDA Nel giugno del 1989 Angela Montagna, madre di Cesare, si incatena sulle piazze dei paesi dell' Aspromonte. Il 3 gennaio del ' 90 a Natile di Careri (Reggio Calabria) Cesare viene liberato, senza altri pagamenti.
Del Frate Claudio
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