domenica 12 febbraio 2012

Assistenti sociali assolti per la morte di un bambino ucciso dal padre violento

Il centro socio sanitario di San Donato Il tribunale li ha assolti con formula piena. Secondo il gip Vincenzo Tutinelli le assistenti sociali Nadia Chiappa e Elisabetta Termini e l'educatore Stefano Panzeri, finiti sotto processo dopo che il 25 febbraio 2009 non riuscirono a evitare che un padre impazzito sparasse alla nuca del figlioe poi lo accoltellasse al cuore, prima di suicidarsi, sono innocenti.Erano accusati di concorso omissivo colposo in omicidio doloso: ma secondo il giudice loro avrebbero agito correttamente; e di conseguenza la strage è stata ritenuta non prevedibile e non evitabile. Per il giudice, da parte loro c'è stata «una superficiale valutazione del pericolo rappresentato». Il pm: "Educatori senza colpe"
 
Antonella Penati, 44 anni, la mamma di Federico, il bambino di9 anni ucciso dal papà, non può darsi pace: «Il tribunale ha commesso un'ingiustizia feroce, la responsabilità della morte di mio figlio è di quelle persone, che continueranno a lavorare con i bambini. Vorrei che arrivasse la voce di mio figlio, perché questa sentenzaè uno scandalo che nega la verità». Quella mattina nel Centro socio-sanitario della Asl di via Sergnano a San Donato il pericolo arrivò da un padre indiavolato, Mohammed Barakat, egiziano di 52 anni, macellaio, precedenti per droga, capace di entrare al centro dove c'era suo figlio per un incontro protetto con lui, e di sparargli, accoltellarlo quattro volte, e infine di accoltellarsi a morte. Tutto premeditato. Inutile e tardivo fu l'intervento di un assistente e un medico del centro, che tentarono di allontanare l'egiziano dal figlio, scagliandogli addosso una sedia di plastica e innescando lo spruzzo di un estintore.

Il 26 gennaio 2009, un mese prima della tragedia, Barakat era stato denunciato per minacce dalla moglie. Lei, sorella di un ex carabiniere, era andata dai militari dell'Arma a dire che l'ex marito le aveva annunciato le sue intenzioni, e che tutta questa rabbia trovava radici nel fatto che non aveva accettato la separazione. Antonella aveva chiesto che gli incontri protetti tra il bambino e il padre venissero sospesi. A quanto pare non era stata creduta: ancora due mesi dopo la tragedia la procura aveva chiesto ai carabinieri di indagare sulla sua denuncia e di sentire anche «la versione di Mohammed», dimenticandosi che fosse morto. Ieri l'ultimo atto giudiziario.Il pm Gianluca Prisco aveva chiesto l'archiviazione delle accuse a carico dei tre indagati. Di fronte a questa richiesta la sentenza di assoluzione, almeno tecnicamente, non sorprende. La mamma del bambino si chiede se l'unica soluzione possibile per salvare suo figlio avrebbe dovuto essere allora quella di fuggire all'estero: «Insomma dovevo commettere un reato per salvarlo?». (La Repubblica 10 febbraio 2012)

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